Vera Vigevani, dai desaparecidos una storia di vita per gli studenti

Memoria, giustizia e solidarietà. Sono i termini della battaglia condotta da Vera Vigevani Jarach e dalle madri di Plaza de Mayo. Un luogo noto, in Argentina e nel resto del mondo, per la storia dei “desaparecidos”. La donna è testimone diretta: la figlia Franca è scomparsa durante la dittatura di Jorge Videla. Ieri mattina la fonte privilegiata ha raccontato la sua esperienza a circa quattrocento studenti nell'aula magna del Polo Leonardo. «Parlerò più del presente che del passato - ha esordito la donna - perché è nel presente che dobbiamo agire per il nostro futuro. È fondamentale conoscere la storia, ma non basta. Serve l'impegno e la fratellanza: solo così si combatte la paura. Le idee vengono trasmesse e sono contagiose. Mai stare fermi quando si ha paura». Stare fermi è un concetto che Vera Vigevani non ha mai conosciuto. Di origine ebrea, all’età di dieci anni, scappò in Argentina con la famiglia per sfuggire alle leggi razziali. Suo nonno fu deportato ad Auschwitz e li trovò la morte. «Non c'è tomba per mio nonno - ha dichiarato l'87enne - e nemmeno per mia figlia. La dittatura ha cercato di cancellare la tracce, ma i crimini compiuti non si cancellano: ci siamo noi come testimoni e la giustizia aiuta la memoria».

Il desiderio di giustizia e di conoscenza ha portato le madri dei “desaparecidos” a riunirsi in Plaza de Mayo. «Tutti i giovedì c'incontravamo e circolavamo - ha ricordato Vigevani - al centro della piazza. Non era possibile stare ferme a parlare: c'era lo stato d'assedio ed era vietato. Così ci prendevamo a braccetto, dandoci forza, e camminavamo, discutevamo, chiedevamo dove erano finiti i nostri figli».

Da amante dell'informazione (lavorava all'Ansa di Buenos Aires) ricercava notizie. Così anche le altre mamme e nonne. «Il mondo stava in silenzio - ha ripreso la donna - perché molti Paesi avevano interessi

economici e politici con l'Argentina». Ma oggi esistono ancora i “desaparecidos”? «Gli attuali emigranti sono anche loro desaparecidos. Il primo a definirli così è stato Enrico Calamai, allora vice console italiano a Buenos Aires, tra i promotori della campagna in difesa dei migranti».

Leave a Reply