L’Argentina rischia di (ri)diventare un caso esemplare

L’Argentina rischia di (ri)diventare un caso esemplare

In origine fu il default, poi il sequestro della Libertad, ora il downgrade del rating. Si tratta dell’ennesima puntata della telenovela che vede contrapposta la Repubblica Argentina ai cosiddetti “fondi avvoltoio”. Il poco onorevole appellativo si riferisce a quei fondi di investimento speculativi che acquistano titoli obbligazionari di emittenti prossimi al default ad una frazione minima del valore nominale, rischiando da un lato di non incassare nulla e dall’altro di ottenere ben più di quanto investito, anche grazie a lunghe, complesse e costose controversie legali.

DEFAULT E ‘TANGO-BOND’ - L’Argentina, come si ricorderà, nel 2001 dichiarò default: non onorò il pagamento di 100 miliardi di dollari di debito emessi sotto forma di obbligazioni, i cosiddetti “tango-bond”. Successivamente, il Governo argentino propose un concambio al 30%, cioè propose di cambiare le vecchie con nuove obbligazioni che però valevano meno di un terzo. In buona sostanza propose ai creditori di perdere 7 dollari ogni 10 investiti. La stragrande maggioranza degli investitori, oltre il 90% secondo fonti governative argentine, decise di accettare la proposta, presumiamo malvolentieri. Una minoranza però si oppose organizzandosi in comitati o,  in parte, cedendo i vecchi titoli, forse a un prezzo migliore, ai fondi avvoltoio. Questi ultimi iniziarono a fare il loro mestiere, intentando una causa legale contro lo Stato argentino con l’ideale obiettivo di ottenere il risarcimento del valore pieno dei titoli non onorati.

IL SEQUESTRO DELLA LIBERTAD - La causa legale nel tempo ha fatto il suo iter e lo scorso 2 ottobre, come già raccontato sull’Avanti!, i creditori dell’Argentina hanno chiesto ed ottenuto il sequestro cautelativo della nave scuola argentina “Libertad”, la corrispondente del nostro “Amerigo Vespucci”, che si trovava alla fonda in un porto del Ghana. Un sequestro dal valore più che altro simbolico, visto che la nave scuola sarebbe stimata tra i 10 ed i 15 milioni di dollari, rispetto agli oltre 1,3 miliardi di dollari vantati dai fondi avvoltoio e dagli altri creditori che a suo tempo non accettarono il concambio e fecero causa al Governo argentino.

LA DECISIONE DEL GIUDICE GRIESA – Si arriva così al 21 novembre scorso, quando il giudice statunitense Thomas Griesa ha disposto che l’Argentina depositi entro il 15 dicembre prossimo, presso un conto corrente  fuori dal controllo dello Stato argentino, ben 1,33 miliardi di dollari a tutela delle richieste avanzate dai creditori insoddisfatti. Inoltre, il giudice Griesa ha deciso che l’Argentina non possa pagare interessi o rimborsare il capitale a chi detiene le nuove obbligazioni argentine, se prima non onora i propri debiti nei confronti dei vecchi creditori. Ovviamente l’Argentina ha già annunciato ricorso contro la decisione del giudice Griesa e l’intenzione di portare il caso, se necessario, dinanzi alla Corte Suprema statunitense. Non è però ancora chiaro se quest’ultima possa essere di fatto chiamata in causa.

LE QUATTRO LEZIONI DEL CASO ARGENTINO – Intanto però, l’agenzia di rating Fitch, il 27 novembre ha declassato in un solo colpo il rating dell’Argentina di ben cinque livelli: da “B” a “CC”. Insomma Fitch ritiene probabile a breve un nuovo default dell’Argentina, che proprio il 15 dicembre prossimo dovrebbe pagare 3 miliardi di dollari a fronte di titoli emessi in seguito all’operazione di concambio. La vicenda non è ancora conclusa, così come sono ancora poco chiare le tattiche e gli obiettivi reali dei due principali attori in campo, la Repubblica Argentina da un lato ed i fondi di investimento dall’altro. Ma alcune lezioni dal caso argentino possono già essere tratte. Primo, un Paese che ripudia o rinegozia il debito lasciando una parte dei creditori insoddisfatti, rischia di subire ripercussioni legali per molti anni.

Secondo, un Paese che non è in grado di onorare il proprio debito non riconquista in tempi brevi la fiducia degli investitori. Terzo, quando pure riesce a tornare sui mercati finanziari internazionali per raccogliere capitali, i danni di immagine e le ripercussioni legali sono sempre dietro l’angolo e possono riportarlo sul lastrico, con pregiudizio anche dei nuovi investitori. Quarto, non è del tutto deprecabile l’azione dei cosiddetti “fondi avvoltoio”, che conservano la funzione di evitare che i grandi debitori si lascino alle spalle le proprie obbligazioni senza curarsi delle ragioni di chi, come i tanti piccoli investitori che a suo tempo acquistarono i tango-bonds, non ha la forza di opporsi. Infine, aldilà delle valutazioni legali dei giudici competenti, da un punto di vista etico è giusto che un debitore che ritorna ad essere solvente onori prima i vecchi debiti e poi ne faccia di nuovi. Su questi punti dovrebbero riflettere coloro che, con troppa leggerezza, a volte propongono all’Italia di rinunciare all’Euro, ripudiare e poi rinegoziare il proprio debito pubblico.

Alfonso Siano

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