L’Argentina ha un Angel Passa ma quanti brividi

INVIATO A SAN PAOLO. È l’anno di Angel Di Maria. Il calcio certe volte è meglio dell’oroscopo di Paolo Fox: quanto accende lo stellone, non ce n’è per nessuno. Se n’è accorta ieri la Svizzera che pensava di aver indirizzato – almeno – l’epilogo del suo ottavo di finale verso la girandola dei rigori e invece è stata trafitta a pochi attimi dal minuto numero 120 dal levriero del Real che, poco più di un mese della conquista della Champions, diventa uno dei protagonisti assoluti di questo Mondiale: «Sapevamo che sarebbe stata una partita molto complicata – ha spiegato appena uscito dal campo –. Stavamo arrivando ai rigori, ma siamo sicuri di aver dato tutto quello che avevamo in campo. È stato bellissimo».

Il carattere. È uno che non molla mai, il 26enne Angel, nato a Rosario: se ha messo la sua firma sul gol più importante dell’Argentina qui in Brasile proprio sul rettilineo finale dei tempi supplementari lo si deve anche alla sua storia. È figlio di un calciatore, Di Maria: il padre, Miguel Hernandez (il cui cognome viene aggiunto soltanto per ultimo sui documenti del numero 7 dell’Albiceleste) giocava nella cantera del River Plate, non proprio l’ultimo dei club argentini, i cui giocatori vengono chiamati millonarios, ma papà Miguel, purtroppo, non divenne ricco giocando a calcio. Anzi, quando stava per esordire nella prima squadra un gravissimo incidente lo costrinse a lasciare l’attività agonistica e i sogni di un ragazzo che in Argentina gioca a pallone. Soldi che portano gloria e soldi. Per questo Miguel finì a lavorare come spalatore in una centrale di carbone di Rosario, dove il piccolo Angel lo aiutava a riempire i sacchi tra una partita e un’altra nel Central. Con il debutto tra i “grandi” (a 17 anni) i primi stipendi da calciatore vero e una promessa a papà Miguel: «Non lavorerai più là, d’ora in poi guadagnerò anche per te». Insomma, se Di Maria ieri è stato assistito un po’ dalla fortuna se l’è meritato.

I flash. Eppure quella dell’esterno offensivo di Sabella non è stata una gara esemplare. Anche se, bisogna essere sinceri, non è stato aiutato molto dal canovaccio tattico imbastito dal suo ct che ha disegnato una squadra offensiva, ma ha mescolato la “minestra” in modo frenetico, troppo frenetico per chi era in campo alla ricerca del bandolo della matassa per far saltare il fortino svizzero, presidiato da due mediani di grande sostanza come Inler e Behrami. Morale della favola, Di Maria ha cominciato a destra con Lavezzi a sinistra e Messi dietro il centravanti, Higuain, salvo poi vagare per il campo alla ricerca di spazi per i suoi affondi. Che nel primo tempo non è riuscito praticamente a trovare. Nella ripresa si è spostato a sinistra mettendo in grande difficoltà Xhaka che non riusciva a ripiegare con continuità, mettendo così in difficoltà lo juventino Lichsteiner che doveva fare i conti con gli uno contro uno micidiali dell’ala di Rosario. Risultato? Fuori Xhaka e dentro Gelson Fernandes per dare più equilibrio alla fase difensiva elvetica.

Contromossa. Alla fine, a furia di mescolare e rimescolare, Sabella è riuscito anche a proporre una mossa decente, col senno di poi. Ha fatto uscire un Lavezzi praticamente inoffensivo per dare spazio a Palacio e rimettere Di Maria a destra. Là il madridista – come sa bene Carletto Ancelotti – ha il suo ufficio. Da ragazzino giocava anche in posizione più avanzata, faceva il secondo attaccante, o completava il tridente a destra. In quegli anni, quando non ne aveva neppure 20, arrivo secondo nel Sudamericano under 20 in Paraguay, ma vinse il Mondialino dei giovani in Canada: epica la gara che Angel disputò contro il Cile di Sanchez, Isla e Arturo Vidal che, durante 90 minuti tesissimi e ricchi di colpi bassi, lo toccò duro e gli impedì di disputare la finale con la Repubblica ceca, comunque vinta dall’Argentina. Ora Di Maria può cercare il bis tra i “grandi” giocando da esterno puro.

Fuochi d’artificio. Lo testimoniano le azioni che il numero 7 di Sabella ha confezionato nell’ultima parte della gara, quando ha potuto operare sulla destra. Ha cominciato con una conclusione che solo un volo di Benaglio all’incrocio ha impedito che finisse nel sette. Ha concluso con la rete della vittoria argentina qui a San Paolo, un gol che ha accesso la miccia della gioia sfrenata dei tifosi gauchos sugli spalti. Pallone perso da Lichsteiner, volata di Messi in posizione centrale, servizio rasoterra verso la fascia dove Di Maria è arrivato puntuale per l’appuntamento più importante della giornata. A proposito di appuntamenti, i nostri club li hanno mancati tutti. Di Maria nel 2007, a 19 anni, è arrivato in Europa, acquistato dai portoghesi del Benfica per cinque milioni di euro. Tre anni dopo è stato preso dal Real Madrid che ha bruciato tutte le nostre big. Adios Di Maria.

@pioleotto

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