Il ponte Chacha tra sport e vita

MANTOVA. Quando per strada ne incontra qualcuno, cresciutello, ne riconosce lo sguardo, ne ricorda il sorriso: lo stesso, identico, quello dopo un canestro segnato da bambino in un pomeriggio qualunque. Si è intanto fatto uomo, come centinaia di ragazzi di cui Maria Grazia “Chacha” Palmieri è stata un po’ mamma, in tuta e scarpe da ginnastica sui campi da basket, e sarà sempre amica.

Perché lei lo ha vissuto sulla pelle, nella propria anima, e sa bene che attraverso lo sport si cresce, ci si integra, ci si salva. Lei che a 9 anni dall’Argentina dove era nata venne catapultata insieme ai fratelli Sandra e Leandro Clelio a Mantova, dove mamma Franca pensava potessero essere più al riparo di papà Clelio (baritono e regista nel Teatro argentino di La Plata a 60 chilometri da Buenos Aires), rimasto a convivere con la minaccia del regime dei generali. Lei che all’amore della famiglia aggiunse la passione per lo sport: per sentirsi a casa, comunque, per esprimere sé stessa e diventare donna. Una donna capace oggi di guidare l’intero settore minibasket della Polisportiva S. Pio X, nidiate su nidiate di monelli che ancora devono imparare a stare insieme, a dare il meglio di sé, a divertirsi.

Ma partiamo dall’inizio... «Papà era originario di Latina, mamma di Bagnolo San Vito, si conobbero là, a teatro. Lui era un artista con un credo politico fermo che poi ha determinato tutto il nostro destino». Un destino scritto davvero dalla Storia: «Ci sono date importanti nella vita delle persone. Per me, una di quelle segnate in rosso è il 1° aprile 1976, anno della mia "ri-nascita"». Quel giorno una giovane donna già malata segue il suo istinto materno e con una forza e un coraggio unici carica su un aereo i suoi 3 figli di 9, 11 e 14 anni e da sola li porta in salvo «nella terra in cui è nata, lasciando mio padre nella amata Argentina che il 24 marzo aveva visto l'inizio della dittatura militare». Desaparecidos, sequestri, torture, violenze iniziano subito «e noi siamo in pericolo perché cresciuti in un ambiente dove abbiamo respirato libertà di opinione fin dalla nascita». Chacha è la piccola di casa ma deve anche lei «ripartire daccapo, ricucire uno strappo» nella casa di via Conciliazione in città dove la nonna materna li ospita. Anche se la lingua la conosce e ha un carattere socievole, a 9 anni è dura rimettersi in gioco: «Qui è tutto diverso, qui improvvisamente divento "l’altro"» e a “salvarla” arriva la sua incredibile agilità. «Il movimento diventa il mio modo di farmi accettare a scuola come all’oratorio: sul campo parla il corpo, non ci sono barriere linguistiche».

Così il pallone «diventa la voce o la penna delle mie parole» e «da quel momento il gioco del basket, e lo sport in generale, si trasforma in una seconda possibilità, di rinascita». Insomma «avevo trovato il mio "esperanto" per comunicare con il mio nuovo mondo e entrare a farne parte. D’altronde accade così: i bimbi con difficoltà linguistiche è in palestra che riescono meglio ad esprimersi». Sono gli anni delle elementari ma Chacha ha già deciso: «Da grande avrei fatto l’insegnante di educazione fisica». Intanto la mamma ha aperto una latteria in corso Pradella e dopo un anno papà li ha raggiunti: «Anche per lui fu dura, aveva 57 anni, in Argentina era un famoso uomo di teatro, qui non era più nessuno e aveva 3 figli piccoli da crescere e (cosa per lui prioritaria) far studiare. Si inventò un lavoro che fu la sua salvezza: portiere notturno negli alberghi in città: per lui era come essere a teatro, con ogni cliente recitava una parte diversa».

E mentre da oltreoceano arrivano notizie di famiglie scomparse in blocco, i tre ragazzi Palmieri crescono con i loro piccoli grandi sogni. Quello di Maria Grazia si chiama basket: a 16 anni è in prima squadra nella Vigor Basket Mantova e contemporaneamente alla palestra Martiri aiuta un istruttore ad allenare un gruppetto di bambini al minibasket. E’ «il battesimo di quella che sarà la mia professione» che inizia di lì a poco a Bancole. Poi dal 1993 eccola impegnata a ristrutturazione il settore minibasket della Pallacanestro Mantova e a creare quella fucina di giovani atleti che con l'arrivo nel 2003 della Polisportiva S. Pio «ha raggiunto i massimi livelli organizzativi».

Un Centro che quest’anno conta 270 piccoli atleti tra i 5 e gli 11 anni: «E’ una mia scelta continuare a occuparmi dei più piccoli: il mondo dell’infanzia è delicato, è il periodo in cui si forma la persona che saranno e noi educatori non possiamo sbagliare. Così come dobbiamo essere pronti a lasciarli andare quando sono pronti a camminare con le loro gambe... siamo un ponte». Un ponte che da oltre 20 anni accompagna la crescita di centinaia di ragazzini mantovani e la vede ancora «convinta che l'entusiasmo che provo ad ogni lezione sia frutto dell'energia che mi viene trasmessa dagli sguardi dei bambini». Sguardi che domani riconoscerà per strada tra quei bambini di ieri che per mano a lei hanno imparato a spiccare il volo.

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