Buenos Aires – Il risultato delle elezioni presidenziali argentine di domenica scorsa ha smentito tutti i sondaggi e tutte le previsioni dei politologi che davano come possibile e persino probabile la vittoria al primo turno di Daniel Scioli, candidato del governo uscente. Nessuno riteneva che Scioli potesse ottenere il 50 più uno per cento, e neppure il 45% che in Argentina permette l’elezione senza ballottaggio. Ma negli ultimi anni la legge elettorale era stata modificata in modo che può vincere al primo turno chi ottiene il 40% dei voti, se il secondo più votato è a una distanza maggiore del 10%. Una norma pensata per favorire il partito che ha una maggioranza relativa che in sé non gli permetterebbe la vittoria, ma conta sul frazionamento (purtroppo reale) del voto oppositore. Questa norma non è scattata, poiché Scioli si è fermato al di sotto del 37%. Ma la vera sorpresa è che il principale candidato oppositore, Maurizio Macri, ha ottenuto più del 34% (nessun sondaggio gli dava più del 30).
Si va dunque al ballottaggio con una distanza di soli due punti e mezzo tra i due candidati, scenario che lascia aperte tutte le possibilità. Che succederà adesso? Il 25 ottobre, il terzo più votato, Sergio Massa (fortemente critico del governo) ha ottenuto il 22% dei voti e l’insieme dei candidati oppositori ha ottenuto il 64%. Una grande maggioranza del Paese ha dunque voltato le spalle alla forza che per dodici anni lo aveva governato. Questo rifiuto è stato sottolineato dalla straordinaria e imprevista vittoria della candidata dell’opposizione per il governo della Provincia di Buenos Aires, che da sola rappresenta più di un quarto del Paese. Dato che la Città di Buenos Aires è già in mano di Macri e le altre maggiori province, Cordoba, Santa Fe e Mendoza, sono governate dall’opposizione, è diffusa l’idea che al ballottaggio del 22 novembre la vittoria di Macri sia praticamente certa.
Ma le cose non sono così semplici: non è affatto scontato che tutti quelli che non hanno votato per Scioli si uniscano ora a votare per Macri. È improbabile che lo facciano gli elettori di sinistra, che considerano Macri un conservatore neo-liberale, ma è presumibile che una parte dell’elettorato di Massa, che è oppositore al governo ma peronista di origine, si orienti verso il peronista Scioli o voti in bianco. La corsa per conquistare l’elettorato di Massa è del resto iniziata la sera stessa delle elezioni. Il problema di Macri è persuadere la gente che non tornerà indietro sui programmi di inclusione sociale dei governi Kirchner e non farà manovre economiche a spese della classe meno abbiente. Scioli, a sua volta, se vuole conquistare un numero sufficiente di voti di Massa, deve dimostrare che, pur essendo il candidato ufficiale di Cristina Kirchner, non è la sua fotocopia, senza peraltro alienarsi simpatie e voti del “kirchnerismo” puro e duro.
Chiunque vinca al ballottaggio, una cosa è però certa: un ciclo durato dodici anni sta per terminare e una nuova pagina si apre per il grande Paese latinoamericano. Il futuro Presidente dovrà inevitabilmente ridurre l’inflazione e il deficit pubblico, combattere più efficacemente traffico di droga, insicurezza e corruzione e reintrodurre criteri più razionali nella gestione dell’economia, abolendo o allentando i tanti lacci che per ora limitano soprattutto produzione ed esportazioni agricole, che sono il vero asse del Paese. Sul piano esterno, dovrà riaprire l’Argentina al mondo, tornare ad attirare investimenti esteri e per questo pacificare i rapporti con i mercati, normalizzare le relazioni cogli Stati Uniti e l’Unione Europea, senza per questo rompere coi partner preferiti di questi anni, Cina e Russia. La maniera in cui queste complesse e multiple esigenze saranno affrontate, dipenderà naturalmente dalla personalità e dalle posizioni politiche del vincente. Ma non ho dubbi che sia Scioli che Macri (che conosco ambedue da tempo) sappiano quali siano queste esigenze e siano preparati ad affrontarle. Le previsioni per il futuro di questo Paese sono, dunque, ragionevolmente ottimiste.
Un’ultima considerazione: per la prima volta nella storia di questo Paese (e, se non erro, di qualsiasi altro paese al mondo), la gara è tra candidati ambedue di origine italiana. Scioli è nipote di immigrati da Monteroduni (nel Molise) e conosce benissimo il nostro Paese, dove si reca con frequenza con la moglie (italiana anche lei). Macri è figlio di un italiano nato a Polistena (in Calabria); ha la doppia nazionalità e quando può viaggia da noi. La sua candidata a Vicepresidente, Gabriella Michetti, è italiana. Ma anche il “terzo uomo”, Massa è figlio di padre e madre siciliani. Italiana è anche sua moglie. Ciò dimostra fino a che punto l’immigrazione italiana conti in questo Paese. Sono certissimo che sia Scioli che Macri metteranno una cura particolare nel ristabilire con l’Italia quei rapporti stretti e fecondi che regnavano in passato. E spero che il Governo italiano saprà corrispondere alle aperture che certamente verranno. A questo pezzo d’italianità nel mondo dobbiamo dedicare molta attenzione. Torniamo a riprendere contatti politici ad alto livello, torniamo a investire qui, visitiamo questo splendido Paese dai vasti orizzonti, scegliamo sempre per Buenos Aires, com’è il caso attualmente, i migliori tra i nostri diplomatici: non suoni un’eresia dire che il Rappresentante italiano in Argentina ha un ruolo ben maggiore dei suoi colleghi in sedi tradizionali come Londra e Parigi, ormai quasi solo “cerimoniali”: e appoggiamo generosamente l’Argentina nei fori internazionali. In una parola, ridiamo senso e significato al concetto di popoli affratellati dal sangue.