CALCIO: SERIE D; AMITERNINA, LA STORIA DI MOLINARI

SCOPPITO - Da due anni segna gol a grappoli con la maglia dell'Amiternina, formazione calcistica aquilana che si sta misurando con il primo campionato di serie D della sua storia.

È Hernan Molinari, attaccante argentino ormai divenuto un'istituzione a Scoppito dentro e fuori dal campo.

Per farvi conoscere meglio questo attaccante tanto generoso quanto prolifico, AbruzzoWeb ha tradotto un articolo scritto eccezionalmente per questo giornale da Celeste Molinari, sua sorella.

In una fresca serata del settembre del 1982, Monica disse a suo marito Horacio Molinari che Hernan stava per nascere. Insieme, i due corsero fino alla Clinica Avenida, a La Plata, provincia di Buenos Aires, dove nacque il loro primogenito, mio fratello, un bellissimo bimbo di 3 chili e 600 grammi.

Per i primi tre anni e mezzo Hernan fu il tesoro, il favorito di casa al quale veniva concessa ogni cosa. Ma il pomeriggio del 29 maggio, giorno della recita finale della scuola di inglese che il piccolo frequentava (e che poi ho frequentato anch’io), mamma Monica diede a Hernan una notizia inaspettata: "Mamma e papà non  possono stare con te adesso, perché sta per nascere la tua sorellina!”.

Hernan pensò che non lo avrebbe visto nessuno vestito da ‘Lumiere’, il candelabro parlante de La bella e la Bestia, invece al posto dei suoi genitori si presentarono i nonni, Coca Luis, Kiki e Pico, le zie Fernanda e Daniela e i cugini Yiya, Cuca, Vivi e Piti.

La recitazione, però, non era la passione  di Hernán. Lui amava giocare a pallone e segnare gol, come vedeva fare la domenica sul campo dell’Estudiantes, la sua squadra del cuore.

Voleva giocare a calcio come suo zio Cristian Guaita, che è stato più di un idolo, non solo il suo allenatore nella scuola calcio dell’Estudiantes, e imparava a fare gol nel piccolo campo adattato nel retro di casa, insieme a suo cugino Leandro Guaita.

In quel cortile si cucinavano arrosti buonissimi, ma erano molto apprezzate anche le torte preparate dalla zia Dani, e si giocava in piscina e alla fine si finiva con il litigare, con le famiglie che tornavano ognuna a casa propria. Però il week-end successivo tutto ritornava alla normalità, si mettevano da parte i rancori e così Hernan poteva ricominciare a battere le punizioni insieme al cugino, calciando il pallone al di sopra di una barriera di legno fatta di pupazzi che simulavano i difensori.

Hernan e Leandro sognavano di giocare insieme, e i due crebbero con la speranza di poter celebrare un giorno una vittoria come quando facevano da piccolo. Da grande, insomma, gridava Hernan, "voglio fare il calciatore!".

'Nani', come era soprannominato Hernan da bambino, giocò a calcio per divertimento fino a sei anni, finché un giorno decise di trasformare quel divertimento in una vera attività sportiva. Iniziò così a frequentare la scuola di calcio “Club 12 settembre”, dove ogni sabato, sui campi in terra battuta, tutti i bambini correvano all'impazzata dietro la palla per segnare un gol e fare applaudire i propri genitori.

Il desiderio più grande di Hernan era quello di festeggiare un gol alla maniera dei grandi calciatori.

Più tardi cominciò a frequentare il College Football Carlos 'Salvador Bilardo' (manager della squadra nazionale argentina di calcio), guidato da José Luis Brown, ‘Tata Brown’, un monumento dell’Estudiantes e della nazionale argentina campione del mondo a Messico ‘86, il quale organizzò un viaggio negli Stati Uniti d'America per i piccoli che disputarono due partite amichevoli.

L'esperienza servì a ‘Nani’ per conoscere un altro Paese e interagire con la popolazione locale, ma anche per generare legame ancora più forte con suo padre Horacio.

Papà Horacio ha sempre detto di non essere mai stato espansivo, “ma quel viaggio mi ha aiutato e anche grazie ad esso io e mio figlio Hernan siamo più legati, ci siamo conosciuti di più. Vedere la sua faccia quando incontrò Bilardo mi sorprese, era diventato matto. Sono cose che ti restano nel cuore, come il viaggio in Italia dell'anno scorso".

Il tempo passava e Hernan aspirava a salire più in alto sulla montagna. Cominciò quindi a giocare nella sua squadra del cuore, nelle categorie inferiori.

Lì incontrò Lisandro Boran, oggi uno dei suoi migliori amici e compagno di squadra in tornei di calcio a cui partecipa ogni volta che torna in Argentina.

Lisandro racconta che durante la partita di un torneo, la situazione si fece tesa e scoppiò una lite con la squadra avversaria  che coinvolse anche gli spettatori.

“La sera, mentre mangiavamo l’asado insieme ad altri amici, iniziammo a parlare di quanto accaduto sul campo, ma non riuscivamo a capire come fossero andate esattamente le cose - ricorda Lisandro - Fu Hernan a spiegare l’accaduto perché non aveva preso parte alla rissa. Se ne restò in un lato del campo senza darsi alla violenza. Ecco, noi amiamo Hernan così com’è, nel bene e nel male, dentro e fuori dal campo, perché è sempre onesto e obiettivo. È una persona che dice sempre le cose come stanno e che non cerca mai la rissa".

A 21 anni, però, arrivò una notizia che lasciò mio fratello senza parole.

L’Estudiantes aveva lasciato la sua mano. Era come se qualcuno gli avesse gettato un secchio d'acqua fredda sul viso. Hernan aveva dato tutto per il club, cambiato scuola per il programma di formazione, non andava in vacanza con la famiglia per non perdere la preparazione, faceva qualunque cosa per la sua squadra. Il primo a sapere la notizia fu suo nonno Pico, in piscina, nel cortile della sua abitazione. Hernan era cresciuto col sogno diventare un giocatore di calcio, ma nella vita tutto è un pugno di sabbia. Per Hernan, in quel momeno, fu così.

La crisi economica che stava divorando l’Argentina fece il resto. Di lui chiesero alcune squadre italiane, a quel punto non esitò a fare la valigie e chiese un aiuto a sua zia Maria Angelica per poter organizzare il viaggio.

Il giorno prima di partire io, sua sorella, gli scrissi una lettera. Per me non era normale vedere mio fratello andare via, sapere che non avrei più vissuto con lui. Certo, come fratello e sorella abbiamo anche litigatom ma quella notizia mi mandò in pezzi. Per la prima volta, piansi per mio fratello.

Con il tempo, mi sono abituata a vederlo due volte l'anno, a volte una, ma ho sempre saputo che stava bene e che nonostante la distanza che ci divideva, nulla ci avrebbe impedito di continuare a essere uniti. Il primo a sapere che stavo per avere un bambino è stato lui, idem quando sono andata a partorire. Siamo così... Dipendiamo l'uno dall'altra, non possiamo vivere l'uno senza l'altra. Sbarcò in Italia con la paura di restare da solo in un Paese straniero, certo con il cognome e le origini italiane, ma senza conoscere la lingua e tutto ciò che fa un Paese.

Non sapeva quale fosse il suo destino, ma comprese che oltre a giocare a calcio, avrebbe anche dovuto fare un altro lavoro. Una volta, disperato, telefonò a nostro padre e gli disse "Papà, è tutto sbagliato, io non sono venuto a lavorare, sono venuto a giocare a calcio".

Ma il tempo gli ha dato ragione. Piano piano, Hernan si è sistemato lontano da casa, lontano del suo Paese, ha giocato in diversi club italiani, ha aiutato la sua famiglia senza che nessuno glielo chiedesse e si è fatto molti amici come Emi, Marco, Simone, amici per la vita come quelli chi ha lasciato qui e  che rivede ogni volta che torna nella sua Argentina, come Lisan, Manu, Migue, il Caru, il Perro e tanti altri.

Mio fratello oggi gioca con l’Amiternina per il secondo anno di seguito, un club che ama e rispetta molto, in un luogo, Scoppito, che è ormai come la sua seconda casa. Mio fratello, insomma, ha  realizzato il suo sogno: gioca il calcio come un hobby, un lavoro e uno sport.

Per la sua famiglia, anche se è un uomo adulto, è ancora il preferito. Come quando era un bambino. Per tutti noi, è sempre 'Nani'.

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