Tango bond, Argentina condannata in appello ma non andrà in default

Default sì o non default? Questo sembra essere il dilemma di analisti, esperti e giornalisti dopo la tanto attesa, e forse scontata, decisione delle Corte d’Appello di New York che obbliga l’Argentina a risarcire con 1,33 miliardi di dollari i detentori dei bond che avevano rifiutato le due precedenti ristrutturazioni del debito sovrano andato in default del 2001. Ma l’Argentina, come ha ripetutamente detto in altre circostanze, non pagherà in ogni caso, ma nemmeno si dichiarerà insolvente. E via con un altro un altro giro di valzer, anzi di tango … di tango bond. Una battaglia quella contro i “fondi buitre” iniziata in tempi lontani e che ora è giunta all’epilogo dopo annose ed estenuanti battaglie legali sull’entità del risarcimento delle obbligazioni statali rimaste fuori dalla ristrutturazione. Lo scorso novembre, il giudice di un tribunale americano Thomas Griesa, aveva dato ragione ad un gruppo di fondi speculativi capeggiati da Elliott Gestione LLCs NML Capital e Aurelius Capital, che chiedevano il rimborso integrale dei bond argentini andati in default nel 2001. Nel 2005 e nel 2010 l’Argentina aveva proposto uno scambio con nuovi bond, che però avrebbe rimborsato solo al 34%, ma questi fondi non vi avevano aderito preferendo fare causa allo Stato sudamericano. L’esborso, quindi, sarebbe sgtato di 1,33 miliardi di dollari secondo il Tribunale di New York, se non fosse che nello stesso pronunciamento il giudice ha bloccato tutto in attesa della decisione d’appello. L’Argentina nel frattempo ha proposto ai fondi un nuovo piano di rimborso obbligazionario sulla falsariga di quanto già fatto in passato, né più né meno. Ma pochi giorni fa la Corte d’Appello di New York ha rigettato l’istanza confermando la decisione del giudice Griesa. Si riaccendono così – come riporta il Financial Times – i timori che il Paese sudamericano si stia inesorabilmente muovendo verso un secondo default in poco più di un decennio.

 

L’Argentina punta alla prescrizione e la stampa ci specula sopra

 

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La decisione della Corte d’Appello non è comunque ancora esecutiva. La sentenza risulta infatti sospesa in attesa che la Corte Suprema degli Stati Uniti si esprima sulla legittimità degli atti oggetto di causa e una decisione è attesa non prima della primavera del 2014. Nel frattempo il tempo passa e i legali argentini puntano alla prescrizione che è decennale. Ma qui sorge un dubbio non ancora risolto: da quale data partirebbe il calcolo? Secondo l’Argentina i tempi tecnici decorrono da quando è scaduto il termine per l’insinuazione al passivo, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza internazionale, e quindi subito dopo il default del 2001 (quindi l’Argentina si salverebbe). Secondo i legali dei fondi, invece, da quando sono state operate le ristrutturazioni dei titoli di stato, cioè fra il 2005 e il 2010. Per ora sembra che la Corte d’Appello di New York non abbia tenuto conto delle istanze del governo argentino, tuttavia la parola fine dovrà essere posta dalla Corte Suprema. Nel frattempo la stampa ci va a nozze con centinaia di detrattori che non perdono occasione ogni giorno per speculare sulla malasorte e le difficoltà interne del paese sudamericano. Del resto il rapporto fra Argentina, Stati Uniti e Fondo Monetario Internazionale è andato deteriorandosi visibilmente da quando  Cristina Kirchner è salita al potere nel 2007. E a ottobre ci saranno le elezioni nazionali che i poteri forti internazionali cercano di condizionare, come hanno sempre fatto in Sudamerica (e non solo). Anche il rapporto con l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) non è idilliaco. Buenos Aires è stata invitata a riformare la magistratura, a suo dire troppo politicizzata e quindi legata al Governo, ma l’invito è stato rispedito al mittente.

 

 

Default Argentina? Il mercato non ci crede e i bond salgono

 

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Comunque vada a finire l’Argentina non risarcirà quel 7% di obbligazionisti che non aderirono alle ristrutturazioni (holdout). Al massimo la Kirchner si è detta disponibile a proporre loro un risarcimento uguale a quello già offerto alla quasi totalità degli obbligazionisti che aderirono alla ristrutturazione. Da un lato si tratta di una questione di principio che rischierebbe di mettere in discussione tutto lì impianto delle ristrutturazioni internazionali del debito di cui l’Argentina è stata un modello e che recentemente ha coinvolto anche la Grecia. Dall’altro è una questione puramente economica. 1,33 miliardi di dollari di per sé non sono una cifra tale da mandare a rotoli un paese come l’Argentina (benché in difficoltà) che alla fine di maggio aveva 39 miliardi di dollari di riserve nelle casse centrali. Inoltre, per alcuni analisti internazionali, il Paese non può andare ancora una volta dichiararsi insolvente con un rapporto Pil/debito pubblico che è uno dei più bassi al mondo, solo il 28%, rispetto per esempio a quello dell’Italia che ha superato il 120%. E il mercato ci crede, anche perchè il governo ha detto di essere pronto a onorare 2 miliardi di scadenze in prossimo mese di settembre. I CDS (credit defaul swap), vero e proprio termometro indicatore dello stato di salute finanziario del paese, sono scesi a 2.400 punti dai 4.000 dello scorso Aprile e i prezzi dei bond si stanno muovendo al rialzo: l’Argentina 7,82% 2033 in euro offre oggi un rendimento del 9,70% e prezza 85 (a marzo valeva 70). Così come anche i titoli obbligazionari della provincia di Buenos Aires (la più ricca e industrializzata del paese) che si sono apprezzati in media del 15% negli ultimi 4 mesi. Tuttavia – osserva Pierre Moscovici, ministro delle finanze francesi – alla lunga il rischio di un default tecnico c’è, ma non sul pagamento d 1,33 miliardi di dollari stabiliti dai giudici americani, quanto sulle sue conseguenze.  Perchè se l’Argentina pagasse gli obbligazionisti holdouts, anche coloro che avevano aderito alla ristrutturazione del debito per 93 miliardi di dollari (di cui 400 mila italiani) maturerebbero il diritto di chiederne il rimborso a condizioni paritarie (apposita istanza è già stata presentata alla Corte Suprema USA). Ma a questo punto si tornerebbe al punto di partenza, con l’Argentina che non ha soldi per pagare, con avvocati e tribunali che girano a vuoto, coi i fondi hedge speculano sulla vicenda, mentre il paese ripiomberebbe nel caos.

 

La Francia si schiera a fianco dell’Argentina per una crisi internazionale 

L’eventualità di un nuovo crack di Buenos Aires prefigurerebbe uno scenario drammatico, non solo per l’Argentina, ma anche per l’intero Sudamerica che vede oggi i singoli paesi latini più uniti fra loro.

In particolare il Brasile, ottava potenza economica mondiale, alleata degli USA, ma ora anche amica dell’Argentina, con il quale sono stati instaurate buone relazioni commerciali. A scongiurare lo scenario peggiore è niente meno che la Francia il cui ministro delle Finanze, Moscovici, da qualche giorno caldeggia un accordo tra Buenos Aires e i creditori che non hanno accettato le offerte della Casa Rosada lanciate tra il 2005 e il 2010 dopo il default da 100 miliardi di dollari. Moscovici ha annunciato che si rivolgerà alla Corte Suprema degli Stati Uniti per scongiurare una decisione capestro a svantaggio dell’Argentina, ma soprattutto dell’intero sistema finanziario internazionale. Moscovici ha parlato chiaro: “L’obiettivo della Francia è allertare la Corte Suprema americana affinché valuti le potenziali implicazioni sul sistema finanziario internazionale”.
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