di Marco Maioli
Per molti è il torneo di qualificazione ai mondiali più difficile: quattro posti (più uno) da disputarsi in un girone all'italiana con trasferte in località impervie come La Paz o nel caldo tropicale di Barranquilla. La corsa delle nazionali sudamericane è iniziata il 5 ottobre scorso e avrà il suo estremo epilogo soltanto nel novembre del 2017, quando la quinta classificata incontrerà una squadra dell'Oceania.
Argentina
Senza stare a contare i paesi che farebbero carte false per avere anche solo un Gustavo Bou in attacco, si può tranquillamente affermare che l'Argentina abbia uno dei reparti offensivi più straripanti della storia. Dal pragmatismo di Sabella, erede della tradizione dell'Estudiantes, si è passati da più di un anno al Tata Martino, accusato da molti tifosi argentini di essere un lirico, un poeta da strapazzo del pallone (nonostante un passato da ct di un Paraguay nient'affatto vezzoso): i risultati, al momento, sono gli stessi, con l'Albiceleste che oggi come ieri arriva in finale, non va oltre lo 0-0 nei tempi regolamentari e trova un modo per perdere più tardi. Negli ultimi mesi, al di là di qualche novità tra i convocati, con l'inserimento di Ramiro Funes Mori, Kranevitter, Correa e Dybala, le cose non sembrano essere cambiate per il meglio: un punto nelle prime due gare di qualificazione contro Ecuador e Paraguay e un gioco che spesso è troppo sterile per il materiale a disposizione. Leggere Aguante Futbol per un'analisi più approfondita.
Bolivia
L'inatteso approdo ai quarti di finale della Copa América non è servito a portare serenità alla Verde. La disfatta per 7-0 con l'Argentina in amichevole, a settembre, ha messo in luce le condizioni non ideali in cui si trova la nazionale boliviana: non bastassero i sette gol subiti, si pensi che i giocatori hanno dovuto finanziare il viaggio a Houston di tasca loro, essendo i conti della federazione congelati e il presidente in carcere nell'ambito di un'inchiesta per corruzione. Baldivieso, quarto commissario tecnico dal 2012, non è esattamente la prima scelta: la FBF, dopo aver cacciato Soria, accusato di aver spinto i suoi a chiedere bonus più alti, e aver tentato senza successo di richiamarlo, nel panico dettato dalle indagini giudiziarie, aveva infatti ingaggiato lo spagnolo Miguel Angel Portugal; quest'ultimo, dopo aver diramato le convocazioni per le imminenti amichevoli, è stato però costretto a rifare le valigie dal netto rifiuto opposto dalla Lega Calcio boliviana, che esigeva un tecnico locale per la nazionale. Eduardo Villegas, contattato, ha però deciso di restare sulla panchina del Bolivar, lasciando a Baldivieso gli onori e gli oneri di guidare la nazionale: questi ha reagito con piglio autoritario al suo disastroso debutto, criticando i giocatori e ricevendo subito l'annuncio dell'addio alla nazionale da parte di due colonne come Raldes e l'attaccante Martins Moreno. Figlio di un poliziotto, l'Emperador ha deciso di puntare tutto su ordine e mistica guerresca: dopo aver visitato il Colegio Militar di La Paz, issando bandiere, cantando l'inno, assistendo a discorsi sulla Guerra del Chaco (1932-1935) ed esercitandosi a sparare, i giocatori hanno ascoltato in ritiro le parole del colonnello Augusto Arévalo, che ha parlato di “lealtà, disciplina, valore, onore e patriottismo”. Tra i ben 30 calciatori convocati per le prime due gare, spronati ogni giorno dal ct al grido di “amor a la patria, carajo”, ben ventotto vengono dal non eccelso campionato locale; tra i giovani chiamati a correre per novanta minuti e lottare per la patria c'è il milanista Gamarra, che ha già debuttato in Cile quest'estate ed è ritenuto da molti la più grande speranza della Verde. Considerati gli ultimi tre tornei di qualificazione, conclusi sempre tra il penultimo e l'ultimo posto, la Russia sembra davvero lontana; almeno, forse, prima del 2018 Jhasmani Campos avrà imparato a sparare.
Brasile
Mentre il resto del continente avanza, il Brasile guarda al passato. Se al tragicomico mondiale casalingo la CBF aveva reagito con la chiamata di Dunga, commissario tecnico salutato quattro anni prima, le scelte di oggi sanno ancora più di antico: tra i giocatori scelti per affrontare le prime due gare, infatti, anche a causa di qualche infortunio, si trovano una vecchia gloria come Kaká e addirittura Ricardo Oliveira, tornato in verdeoro a otto anni dalla sua ultima presenza con la Seleçao. L'attaccante del Santos, da capocannoniere della Serie A brasiliana, ha probabilmente le carte in regola per questa comparsata nonostante i suoi trentacinque anni d'età, ma la sensazione di essere intrappolati nel 2005 è forte, tanto che nessuno sembra essersi stupito del fatto che la prima partita del Brasile nelle gare di qualificazione da sei anni a questa parte sia finita con una sconfitta. Dunga, che nel 2016 avrà il compito di chiudere questi anni di manifestazioni organizzate in Brasile provando a vincere l'oro olimpico ancora mancante dopo la sconfitta nella finale di Londra 2012, potrebbe forse trovare nei ranghi dell'Under 23 qualche nome già pronto per la nazionale maggiore, senza necessariamente fermarsi a Felipe Anderson, che ha già esordito a giugno e giocato una manciata di minuti. Intanto Thiago Silva, dopo la Copa América, è sparito: abbattute le statue che lo ritraevano, bruciate le foto in cui compariva con la fascia da capitano, non viene più convocato e sostiene di non saperne il motivo, non avendo ricevuto nemmeno una telefonata dal commissarrio tecnico. A mettere in discussione le scelte del tecnico c'è anche il vecchio amico Romario, che ha accusato l'ex compagno di nazionale di decidere le convocazioni in base agli interessi dei procuratori e ha puntato il dito contro Gilmar Rinaldi, altro vincitore dei Mondiali di Usa '94, ex procuratore nominato coordinatore delle nazionali nel luglio del 2014: quest'ultimo ha risposto asserendo di sapere cose sul conto di Romario, ma di non poterle rivelare se non in caso di rinuncia all'immunità parlamentare da parte del Baixinho. Ci vediamo fuori, a meno che Cafu, appena entrato nello staff tecnico della nazionale, non riesca a tranquillizzare tutti con il suo sorriso ipnotico. Di bun umore, a quanto pare, c'è un gran bisogno, visto che prima della gara con il Venezuela Dunga ha invitato il comico Tom Cavalcante in ritiro per rasserenare l'ambiente: "Il Brasile ha bisogno di sorridere e anche noi, non dormivamo bene".
Ridere con Tom Cavalcante
Cile
Portato il Cile, dopo novantanove anni di tentativi, al primo trionfo in Copa América, Jorge Sampaoli ha deciso di continuare alla guida della Roja, rispettando il contratto che lo lega alla nazionale fino al 2018, nonostante le offerte, per lui come per il fido assistente Sebastian Beccacece, non mancassero. Il progetto continua, con l'obiettivo di arrivare in Russia, e anche se dalle prime convocazioni potrebbe non sembrare, vista l'età media piuttosto alta della squadra che inizia il torneo di qualificazione (29,6 anni contro i 28,4 dei trionfatori di pochi mesi fa), il seguace di Bielsa sta pensando al futuro, anche a quello meno immediato. Se Beausejour ha dedicato la vittoria della coppa alle vittime della dittatura militare, il tecnico argentino ha infatti pensato di riportare in patria i figli degli esuli, o di chi per qualche motivo ha lasciato il Cile per stabilirsi altrove: a gennaio alcuni calciatori di origine cilena (circa quindici quelli attualmente seguiti), provenienti da ogni angolo del pianeta, si ritroveranno in una speciale nazionale Under 19 per alcune partite, nel tentativo di allacciare rapporti e scongiurare il ripetersi di quanto accaduto con Ricardo Rodriguez, figlio di madre cilena che ha scelto di rappresentare la Svizzera. Fabio Vandenbossche (Zulte Waregem), Giovanni de La Vega (Ajax), Thomas Lefranc (Lione) sono i nomi di alcuni adolescenti che potrebbero essere interessati. Le novità non mancano anche dietro la scrivania: Sampaoli è infatti riuscito a convincere Juan Manuel Lillo, allenatore spagnolo di culto che Guardiola considera tra le sue principali fonti d'ispirazione e per il quale ha chiuso la carriera in Messico: l'inventore del 4-2-3-1 avrà il compito di collaborare con i tecnici di tutte le selezioni giovanili cilene.
Colombia
Poco più di un anno fa sembrava che i destini dei cafeteros dipendessero dalla presenza di Radamel Falcao in Brasile. Ora, con Pekerman cittadino colombiano e sotto contratto fino al 2018, El Tigre, proprio ora che è capitano e massimo goleador di tutti i tempi della nazionale colombiana in coabitazione con Arnoldo Iguarán, non sembra più così importante: nonostante la brutta Copa América, il secondo paese dell'America meridionale per numero di abitanti sembra aver ritrovato definitivamente la sua nazionale. La generazione dorata ha ormai compiuto o sta per compiere trent'anni e il ct, che ha lavorato per anni con le selezioni giovanili argentine, pensa al futuro: dopo Murillo e Cardona, già sperimentati in estate, tra settembre e ottobre ha chiamato una decina di debuttanti, in genere ventenni o poco più e provenienti dal campionato colombiano. Tra questi Rafael Borré, già acquistato dall'Atlético Madrid, e Frank Fabra, schierato titolare in assenza di Pablo Armero e rivelazione della gara contro il Perù: “¿Quién es ese morocho que juega por la izquierda?”
Ecuador
L'inizio è stato trionfale, con una vittoria al Monumental contro l'Argentina che non ha precedenti nella storia della Tri. Niente male per una partita che, stando alle minacce della FIFA, avrebbe potuto anche non disputarsi, come estrema sanzione alla federcalcio ecuadoriana, colpevole di non aver sanzionato con venti punti di penalizzazione il Deportivo Quito, che dal 2006 ai primi di ottobre non aveva trovato il tempo di corrispondere 97000 dollari al giocatore colombiano Néstor Salazar. Poi i soldi sono arrivati e tutto è bene quel che finisce bene: se l'Ecuador trova quasi sempre il modo di fallire l'appuntamento con la Copa América, dal 2002 a oggi si è però qualificato a tre mondiali su quattro e ha tutte le intenzioni di prendere parte a Russia 2018. I tre punti ottenuti a Buenos Aires valgono molto per una squadra arrivata in Brasile senza mai vincere fuori casa e sconfiggendo tutti gli avversari, tranne l'Argentina, tra le mura amiche dell'Atahualpa. Oltre all'altura c'è di più, insomma: l'ossatura della squadra resta la stessa vista negli ultimi due anni, anche se alcuni titolari stanno ormai invecchiando (Castillo e Ayovì arriverebbero all'appuntamento con la Russia a 36 e 39 anni d'età) e in difesa continuano a mancare idee per il futuro. Oltre a Enner Valencia e Miller Bolaños, rivelazioni delle ultime stagioni, i prossimi anni dovranno quindi essere quelli di Juan Cazares, trequartista classe '92 che si è già messo in mostra in Copa América.
Paraguay
Tra i protagonisti principali del Sudamericano Under 20 del 2013, Derlis González è probabilmente quello che ha seguito il percorso più lineare: un anno in Paraguay in prestito dal Benfica, poi il passaggio al Basilea, un gol in Champions League al Real Madrid e uno agli ottavi di finale contro il Porto, quindi il trasferimento alla Dinamo Kyiv. Dopo aver acceso la Copa América del Paraguay, segnando il gol del pareggio e il rigore decisivo nel quarto di finale contro il Brasile, González ha inaugurato la caccia a un posto in Russia approfittando di un errore di Vizcarrondo per realizzare una rete da tre punti contro il Venezuela, ovviamente dedicata allo zio che non aveva retto all'emozione la scorsa estate. Dopo aver partecipato a tutti i mondiali dal 1998 al 2010, il Paraguay non vorrebbe restare davanti alla televisione anche nel 2018: Ramon Díaz sostiene senza falsa modestia di essere il tecnico più prestigioso che l'Albirroja abbia mai avuto, mentre Lucas Barrios è convinto che la squadra sia più forte che mai. L'età può essere un problema: tre dei quattro giocatori con più presenze di sempre sono ancora nel giro della nazionale, ma è difficile pensare che si possa arrivare in Russia con quarantenni o quasi: il futuro è di Óscar Romero e di Antonio Sanabria.
Feliz cumpleaños tio😢Despues de que nos dejaste en un partido de la copa america hoy espero Regalarte una victoria y si dios quiere un gol😢
— Derlis Gonzalez (@DerlisG10) 8 Ottobre 2015
Perú
Fino all'12 ottobre 1997 Cile e Perú potevano considerarsi, almeno a livello di risultati, quasi sullo stesso piano: la Blanquirroja aveva vinto due volte la Copa América, mentre la Roja aveva partecipato a un paio di mondiali in più, arrivando terza nell'edizione organizzata in casa nel 1962. Entrambe le nazionali non partecipavano alla manifestazione iridata da ben sedici anni e la partita di quel giorno, valida per il penultimo turno delle qualificazioni, sarebbe stata decisiva: vittoria dei cileni per 4-0 in un clima infuocato e peruviani eliminati per differenza reti. Da allora il Cile ha raggiunto gli ottavi di finale ai mondiali in tre occasioni, portandosi a casa anche la tanto agognata Copa, mentre il Perú si è visto superare da tutte le nazionali della costa pacifica, competendo con i rivali solo per quanto riguarda le notti brave e raccogliendo due vittorie, sei pareggi e ventotto sconfitte nelle gare di qualificazione giocate lontano da casa. Il terzo posto in Copa América ottenuto all'inizio dell'era Gareca, il biondo allenatore argentino noto per gli anni passati sulla panchina del Vélez, fa ben sperare: non sono molte le difese che possono resistere agli attacchi di Christian Cueva, André Carrillo e Yordy Reyna, già devastante con l'Under 20 due anni fa.
Uruguay
Per colpa di un morso dato o di un dito ricevuto, la Celeste inizia il cammino verso i prossimi mondiali senza Luis Suarez ed Edinson Cavani. Se i due attaccanti, destinati a rientrare rispettivamente dalle squalifiche a marzo 2016 e a novembre 2015, non sono nemmeno partiti per l'America del Sud in occasione dei primi due incontri, più complicato è stato il discorso relativo a Oscar Washington Tabarez. L'ex allenatore del Milan, infatti, doveva scontare tre turni di squalifica e, da regolamento, non poteva entrare in contatto con i suoi giocatori, ponendo più di una perplessità alla vigilia della partita con la Bolivia: il Maestro avrebbe trovato un posto adatto allo stadio? Meglio chiedere l'intervento del presidente della repubblica con il suo ascensore privato, arrampicarsi sulle scale o restare in albergo a Santa Cruz, comunicando via telefono con l'assistente? Alla fine Tabarez si è presentato a La Paz, ha trovato spazio dopo una breve discussione con alcuni poliziotti, che non volevano lasciarlo sedere nei posti riservati agli eventuali giocatori espulsi, e ha visto i suoi trionfare per la prima volta a La Paz, altro record da aggiungere alla lunga lista dell'allenatore. Assenze o no, al gruppo che ha conquistato una Copa América e un quarto posto ai mondiali sudafricani si stanno ormai mescolando le nuove leve. Se José Giménez, nonostante i vent'anni, è quasi un veterano, e Giorgian De Arrascaeta, classe '94 del Cruzeiro, non è più una sorpresa, il ct ha dato una possibilità anche a qualche giovane proveniente dal campionato locale: da Nahitan Nandez, centrocampista del Peñarol e pupillo di Paolo Montero, all'attaccante Michael Santos, passando per l'ennesimo prodotto del settore giovanile del Defensor Sporting, Brian Lozano.
Venezuela
Arangol è uscito dal gruppo: dopo sedici anni di onorata carriera con la Vinotinto, Juan Arango, capitano e detentore del record di presenze (134) e gol (23), dopo aver spiegato al mondo che i venezuelani non sanno giocare soltanto a baseball, ha deciso di dedicarsi soltanto al Tijuana, lasciando la fascia al genoano Rincón proprio mentre, fuori dal campo, iniziano le celebrazioni con il lungometraggio Arangol, da settembre 2016 nei migliori cinema di Maracay. Dall'ultimo posto con zero gol e tre punti delle qualificazioni per Francia '98 sembrano essere passati secoli: il Venezuela resta l'unica nazionale sudamericana a non aver mai disputato le fasi finali di un mondiale, ma ha pur sempre chiuso l'ultimo torneo di qualificazione in quinta posizione, con appena cinque punti in meno di Ecuador e Uruguay. Con trenta giocatori che, nel corso dell'ultima stagione, hanno trovato più o meno spazio nei campionati esteri, Noel Sanvicente ha del materiale a disposizione tra cui scegliere: la stella resta il bomber del West Bromwich Albion Salomón Rondón, ma nei prossimi anni avranno le loro chances tanto i giovani provenienti dalle selezioni giovanili, come l'attaccante di proprietà del Benfica Jhon Murillo o il difensore Wilker Ángel, quanto novità meno giovani quali Christian Santos, arrivato nel giro della nazionale a ventisette anni grazie al titolo di capocannoniere della seconda serie olandese, o l'ex Barcellona Jeffrén, che dopo aver vinto un titolo europeo Under 21 con la Spagna ha accettato di giocare per il paese in cui è nato.
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