"Per i giovani dei paesi poveri il calcio, più che un bellissimo sport, è un'opportunità di uscire dalla miseria e raggiungere quella meta assai ambita chiamata successo”, ha scritto Luis Sepúlveda nel suo Ritratto di gruppo con assenza. E con la sua storia dura, la cicatrice sul collo, la tempra proletaria e un fisico inesatto, Carlitos Tevez somiglia proprio a un personaggio di Osvaldo Soriano o Eduardo Galeano.
C'era una volta Bernardo Cifuentes, l'attaccante paraguaiano che gridava Questo è per te, Soraya! - per "Quella bella ragazza che sapeva dire ti amo in spagnolo e in guaranì con identica sincerità” - ogni volta che segnava un gol in Europa, fra Rostock e l'Estremadura. C'erano una volta, su un campo terroso della più remota Patagonia, il bomber Constante Gauna e il Gato Diaz in porta, massimi interpreti di "Quel rigore che durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra il contrario, il più lungo della storia”. Splendori e miserie del gioco del calcio, fra l'Argentina di Mario Kempes e del Flaco Menotti, che nel 1978 vinse il Mondiale fra i crimini militari del generale Videla, e il figlio di Butch Cassidy, arbitro di un match tra comunisti e socialisti nella Terra del Fuoco.
Oggi Osvaldo Soriano ed Eduardo Galeano avrebbero scritto senz'altro di Carlitos Tevez che ha già fatto l'impresa, che è tornato alle origini per regalare al suo animo, alla sua gente, al suo Boca Juniors, un titolo che agli Xeneizes mancava già da troppo tempo. E così, per l'intera notte italiana, su tutti i social network si sono avvicendati in moltissimi per omaggiare l'ami du peuple: "Lo dijo Tevez: Volvió todo a la normalidad”; "Carlos Tevez. Prometió y cumplió. Hombre de palabra. Símbolo xeneize. Te amo”; "Miro los vídeos de ayer y se me siguen cayendo las lágrimas. Gracias por otra alegría Boca. Gracias por otra alegría Tevez”. D'accordo che questo invece, in 140 caratteri, Soriano e Galeano non l'avrebbero fatto, ma è così che si misura l'amore ai tempi di Twitter, e quello provato dagli argentini per Tevez è di quelli incondizionati.
Lo sapevamo già, da quando nell'estate di un anno fa abbiamo visto manifestazioni di piazza a Buenos Aires, sit-in davanti all'AFA e perfino referendum popolari per una convocazione ai Mondiali negatagli dal c.t. Sabella: colpa di un litigio col Pachorra di 10 anni prima al Corinthians e di un rapporto non proprio idilliaco con Grondona e Bilardo. E scoprivamo quanto quei palpiti fossero così romanticamente reciproci ogni volta che Tevez segnava un gol con la Juventus, alzando la maglia bianconera (la diez di Del Piero...) per mostrarne un'altra, quella più vicina al cuore: Ciudad Oculta, La Maciel, El Congo, La Palito, Fuerte Apache, i quartieri della miseria e della violenza di Buenos Aires.
"Me falta mi barrio, es mi escencia". Ecco perché Tevez non ha rispettato un contratto con la Juventus per tornare a casa "Y recuperar la felicidad” da una tragicità lontana, perché gli argentini amano Tevez più di Messi e perché Maradona ha detto che vorrebbe avere vent'anni di meno per giocare con Carlitos nell'Albiceleste. Dicono che Tevez, quattro mesi dopo il ritorno del prodigo, non sia ancora stato pagato un quattrino dal presidente del Boca, ma tanto "I soldi non cambiano nulla, siamo nati nudi e moriremo nudi”, aveva detto l'Apache a chi credeva volesse abbandonare la causa litigando col Mudo Riquelme... Che per intenderci, è uno per cui un certo Valdano ha speso parole così: "Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi”.
Eppure proprio di questo Tevez aveva discusso con Juan Roman Riquelme, l'altro mito moderno della storia Boquense: perché a 4 anni dall'ultimo titolo, era necessario rovesciare la proprietà espressiva. Perché vincere subito e oltre i manierismi è la missione di una squadra, il Boca Juniors, che con L'Apache deve dominare per elezione terrena. "Vine para sentir otra vez esta emoción y seguiré varios años más”, perché stavolta non c'è niente di idiosincratico, nessun chiaroscuro fra le vene aperte dell'America Latina. Il Boca Juniors ha battuto il Tigre 1-0 e s'è laureato campione d'Argentina con buona pace di Papa Francisco (primo tifoso del San Lorenzo). Carlitos Tevez ha compiuto la sua liturgia laica così magnificamente ossessionato dalla tensione per la vittoria, ha rimesso la chiesa al centro del barrio, ha fatto pace col suo spazio emozionale. Dale Boca, ¡Que viva L'Apache!