Nel caso Argentina versus Fondi-avvoltoio spunta il nome di George Soros. Il finanziere internazionale, infatti, è da tempo consigliere di Cristina Kirchner per le questioni del debito e dello scontro con i fondi Elliott Capital Management e Aurelius. Oggi a Buenos Aires circola la voce che Soros acquisterebbe i titoli in mano ai due fondi, per arrivare a un accordo amichevole con il governo argentino e ricevere in cambio un interesse nei giacimenti di idrocarburi da scisti di Vaca Muerta (giacimenti nei quali Soros è già presente tramite il suo investimento nella compagnia petrolifera di Stato Ypf).
L'intervento di Soros non è certo, mancando qualsiasi conferma ufficiale, ma nella vicenda del default ci sono comunque diversi elementi nuovi e certissimi. L'Argentina riuscirà a pagare una parte dei suoi creditori, quelli che hanno acquistato titoli non di diritto americano, grazie a un provvedimento temporaneo del giudice Thomas Griesa. Il Concilio per i Diritti umani dell'Onu ha dato ragione al Paese, con una risoluzione in cui «condanna le attività dei fondi avvoltoio» ed esprime il suo dispiacere per le conseguenze dei pagamenti a tali fondi «sulla capacità dei governi di ottemperare ai loro obblighi in materia di diritti umani», in primo luogo di quelli economici. Poco dopo l'Argentina è stata dichiarata «in disprezzo della Corte» da Griesa per aver cercato di pagare una parte soltanto dei creditori di diritto americano senza saldarli tutti, come stabiliva la sentenza.
È la prima volta che un giudice dichiara un Paese sovrano in disprezzo della Corte, un reato che può avere conseguenze importanti sul piano finanziario: ad esempio, l'Argentina potrebbe essere condannata a pagare gli onorari degli avvocati dei fondi-avvoltoio, oppure potrebbe vedersi espropriare di attività detenute negli Stati Uniti. Le conseguenze più gravi, tuttavia, potrebbero materializzarsi solo se il giudice investisse della cosa il Dipartimento Estero. Il contenzioso fra privati su un credito a quel punto diverrebbe uno scontro fra Stati.
La causa intentata dai fondi avvoltoio viene da lontano ed è il caso di ripercorrere le tappe che hanno portato alla situazione di oggi. Negli anni Novanta del secolo scorso l'Argentina seguiva una politica economica basata sugli insegnamenti della scuola di Chicago e fortemente appoggiata dal Fondo monetario. Il peso argentino era agganciato al dollaro e non c'era limite alla convertibilità. Il peso forte scoraggiava le esportazioni e incentivava l'indebitamento. Dal 1998 al 2002, il Paese è rimasto in recessione. Con il nuovo millennio la situazione era diventata esplosiva, inducendo il governo di Buenos Aires a proclamare il default.
Negli anni successivi, grazie anche al nuovo governo che si richiamava ai principi peronisti di giustizia sociale, indipendenza economica e sovranità politica, l'economia argentina è cresciuta ed è stato possibile arrivare a un accordo con il 93% dei creditori per una riduzione concordata del debito. Buenos Aires ha sempre onorato questo accordo, ma dentro quel 7% dei non firmatari c'erano i due fondi avvoltoio, che avevano comprato il debito a prezzi stracciatissimi ma ne hanno chiesto il rimborso integrale al giudice di New York. Il rendimento del loro investimento, se ottenessero il rimborso, si aggirerebbe intorno al 1000%.
L'Argentina asserisce di non poter soddisfare ora i due fondi perché una clausola del concordato, valida fino al 1° gennaio 2015, estenderebbe automaticamente lo stesso diritto a tutti i creditori concordatari. Per questo è entrata in default (lasciamo stare che Buenos Aires nega di essere in default, perché ha dato mandato a una banca americana di pagare gli interessi ai concordatari ma Griesa ha ordinato alla banca di non effettuare pagamenti parziali).
Agli inizi del millennio, la proclamazione del default ha fortemente danneggiato milioni di piccoli risparmiatori, fra cui molti in Italia, che grazie ai rapporti tradizionali del nostro Paese con l'Argentina e grazie a una spensierata pressione delle nostre banche avevano fatto il pieno di buoni del Tesoro argentini.
L'incompetenza e l'opportunismo del governo argentino di allora non sono più da dimostrare. Il problema è se dodici anni più tardi, e dopo che un governo successivo ha fatto un passo notevole per onorare almeno una parte dei suoi impegni, il popolo argentino debba essere di nuovo chiamato a rispondere dei misfatti di allora, in particolare con un nuovo periodo di sofferenza economica. Agli albori del millennio, più di metà della popolazione ha conosciuto la povertà e la fame. Deve tornare a conoscerle oggi, per assicurare un profitto del 1000% a un pugno di finanzieri newyorkesi? E per di più senza avere responsabilità di sorta, visto che del debito eccessivo sono colpevoli i politici di allora e pochi ricchi argentini che hanno moltiplicato le loro ricchezze grazie al periodo della convertibilità? A queste domande non si può dare la risposta che di fatto sta dando il giudice Griesa.