E’ il quinto oriundo della gestione Prandelli. Anzi no, Gabriel Paletta è molto di più. Uno degli ultimi stopper veri rimasti al nostro calcio. E il fatto che la Nazionale sia andata a pescarlo in Argentina la dice lunga su come si sia ridotta la nostra scuola. Storcere il naso, però, non ha senso. Perché questo ragazzone nato a Buenos Aires il 15 febbraio 1986 possiede tutte le carte in regola per non sfigurare in maglia azzurra.
Basterebbe la sua tenacia per regalargli un posto al Mondiale. Perché Paletta, in carriera, non si è mai visto regalare nulla. Nemmeno quando nel 2005, a 19 anni, vince il Mondiale Under 20 con la maglia dell’Argentina e in compagnia di Lionel Messi. Rafa Benitez si innamora di lui e lo porta a Liverpool promuovendolo come il nuovo Roberto Ayala. Ma, alla fine dei conti, non lo fa mai sentire parte del gruppo, finendo per cederlo al Boca Juniors l’anno dopo.
Con la maglia della sua squadra del cuore, il difensore arriva sino alla finale del Mondiale per Club persa contro il Milan. Eppure anche qui qualcosa si rompe. Per la precisione il suo ginocchio destro. La ripresa è lunga e dolorosa. Ma con il Boca disposto a cederlo in saldo, suscita l’interesse del Palermo. Sta per firmare con i rosanero, poi i siciliani chiedono ulteriori verifiche sullo stato del suo ginocchio. E, così, nell’estate 2010 vola a Parma per 2,5 milioni di euro, sfruttando la parentela con il nonno calabrese per evitare di restare fuori dopo la restrizione sull’acquisto degli extra-comunitari.
Gli inizi sono difficili. La squadra di Pasquale Marino barcolla, lui è chiuso da Alessandro Lucarelli e Massimo Paci. Ancora una volta Paletta si trova a fare i conti con sé stesso, come a Liverpool. In campo, le poche occasioni che viene schierato, rimedia figuracce (esemplare l’umiliazione rifilatagli dall’ex compagno Palacio in un Genoa-Parma 3-1). Fuori parla poco e lega soprattutto con Crespo, l’altro argentino in rosa. E poco conta che sia un ex del River.
Un’amicizia che lo rende più forte. Il Valdanito gli ricorda i propri inizi, tutt’altro che facili in Italia. In panchina arriva Franco Colomba, che punta subito su di lui come titolare. Pian piano anche a Collecchio si inizia a sentire la sua voce in partitella. L’anno dopo in panchina è il turno di Roberto Donadoni, che lo mette a comando del reparto. Il gioco è fatto. Da oggetto misterioso, diventa uno dei difensori più affidabili del campionato. L’estate scorsa, Prandelli (che lo segue anche grazie al lavoro del figlio fisioterapista, in forza al Parma) lo sollecita ad avviare le pratiche per rendersi arruolabile. Manca solo la convocazione.
Ma, anche qui, il destino si mette di mezzo. La sfida agostana di Coppa Italia contro il Lecce gli lascia in conto fastidiose noie al tendine. Si teme che debba finire sotto i ferri e il recupero procede a ritmi ridotti. Torna in campo il 23 ottobre a Napoli per cinque minuti, gioca la prima da titolare la settimana dopo con il Bologna ma non è ancora lui. Il suo vocione non si sente, sembra tornato incerto come agli inizi. A dicembre si ferma ancora per problemi muscolari e Donadoni sente già i brividi. Ma è solo un pit-stop. Perché a metà gennaio Paletta torna titolare e di colpo ritrova le sicurezze perdute.
Con lui, il Parma non perde più e si proietta verso l’Europa League. Sicuro, forte nell’uno contro uno grazie a doti individuali affinate con il lavoro dello staff tecnico che gli propone video su video degli avversari di turno. Impeccabile in impostazione e nella guida del reparto. Da Nazionale, verrebbe da dire. Ma, questo, lo scopriremo soltanto stasera. Di certo lui la Spagna l’ha già affrontata, il 25 giugno 2005 in quel famoso Mondiale Under 20. Di fronte trovò Juanfran, David Silva e Cesc Fabregas. Nove anni dopo, rieccoli di fronte.
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