NEW YORK. Dal nostro inviato
Nei 69 anni di storia del Fondo monetario internazionale non era mai accaduto che un Paese-membro ricevesse una dichiarazione formale di censura per l'inaccuratezza dei propri dati economici. Venerdì è successo all'Argentina quando i 24 membri del direttivo dell'Fmi si sono riuniti a Washington e hanno votato a favore di una procedura che potrebbe concludersi addirittura con l'espulsione. Ma non si può dire che la decisione sia stata una sorpresa per il Governo della "presidenta" Cristina Fernández Kirchner. Sono ormai anni che il Fondo chiede a Buenos Aires di affrontare il problema dell'inattendibilità delle sue statistiche economiche.
Negli ultimi mesi si sono tenute ripetute riunioni tra i tecnici del Fondo e rappresentanti del Governo argentino al fine di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti. Ma le misure proposte da Buenos Aires alla fine non sono state ritenute sufficienti. E venerdì il direttorio dell'Fmi ha deciso di estrarre il cartellino giallo. Non solo. Ha anche annunciato una scadenza per quello rosso: Buenos Aires ha tempo fino al prossimo 29 settembre per rimediare alla situazione. Entro il successivo 13 novembre il direttore generale del Fondo Christine Lagarde ha poi l'obbligo di valutare i progressi eventualmente fatti e riferire al direttivo.
In un comunicato la portavoce del dipartimento del Tesoro americano Holly Shulman ha confermato il sostegno del proprio Governo alla decisione del Fondo, invitando «l'Argentina a impegnarsi a rettificare queste questioni nei prossimi mesi». Il problema è che le questioni economiche da affrontare per Cristina Fernández Kirchner continuano ad accumularsi. Pur avendo la seconda maggiore economia del Sud America, l'Argentina è emarginata dai mercati finanziari internazionali dal 2001, l'anno del default sui 95 miliardi di dollari di debito. Il che ha spesso spinto il Governo a ricorrere a misure tanto poco ortodosse quanto inefficaci (vedi pezzo sotto). «Il Governo non ha finora attribuito a questa cosa sufficiente priorità - ha fatto notare l'ex sotto-segretario alla Finanza argentino Miguel Kiguel -. E adesso, con questa dichiarazione di censura, si apre un nuovo fronte di controversia internazionale».
Il problema dell'inaccuratezza dei dati economici risale al 2007, quando il Governo dell'allora presidente Nestor Kirchner (il marito deceduto dell'attuale leader) licenziò in tronco Graciela Bevacqua, all'epoca direttrice dell'istituto di statistica nazionale Indec, accusandola di aver accettato «pagamenti illegali» da investitori stranieri. Bevacqua si è sempre difesa dicendo di essere stata cacciata perché si rifiutava di manipolare i numeri. Che è quello che sospettano molti osservatori esterni.
Dal momento di quel licenziamento, per anni, il tasso di inflazione pubblicamente dichiarato dal Governo è sempre stato attorno al 9/10 per cento. Una cifra che analisti indipendenti ritenevano molto inferiore a quella effettiva. Nel 2012 l'inflazione ha avuto un'ulteriore accelerazione e la cifra ufficiale ha raggiunto la punta massima del 10,8%, ma secondo molti economisti indipendenti quella reale è superiore al 25, anche se nessuno si azzarda a dichiararlo pubblicamente perché rischierebbe di essere multato dal Governo.
Altrettanto artificiale, tra l'altro, è il tasso di cambio del peso con il dollaro. Secondo la Banca centrale è di circa 4,9 a uno. Ma sul mercato nero, il cambio è di sette a uno. Ed è lì che sono costretti a rivolgersi tutti gli argentini che vogliono comprare valuta americana, perché le banche sono autorizzate a effettuare il cambio solo a chi dimostra di dover recarsi all'estero. Con un tetto di 50 dollari per ogni giorno di viaggio.
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Unico precedente: Cecoslovacchia
La "censura" proclamata dal Fondo monetario internazionale nei confronti dell'Argentina, per non aver fornito informazioni accurate su inflazione e crescita, dà al Governo di Buenos Aires la possibilità di rivedere i dati entro il prossimo 29 settembre. Se i progressi non saranno adeguati, il "cartellino giallo" dell'Fmi farebbe scattare un procedimento che, passando per la possibilità di sanzioni e limitazioni nell'accesso ai prestiti e nei diritti di voto, potrebbe concludersi con l'espulsione dell'Argentina dal Fondo. Un "ritiro obbligatorio" a cui finora, secondo i dati dell'Fmi, è stata costretta soltanto la Cecoslovacchia nel 1954. Anche Paesi come la Somalia e lo Zimbabwe sono stati sanzionati dal Fondo ma per ragioni diverse, di fatto per mancato rimborso di prestiti ottenuti.
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