Lo specchio di Verona-Napoli sono loro due. La grandezza conclamata di uno e la fame dell'altro. Le stoccate di Gonzalo Higuain e i lampi di Juan Manuel Iturbe. Il talento nel sangue, l'Argentina nel destino, il River Plate nel cuore. Uno è già arrivato, l'altro è sulla buona strada. Altri mondi, per ora. Il tempo però corre veloce, ancor di più per uno come Iturbe che ha già guardato in faccia i più forti senza indietreggiare di un millimetro. Il Real Madrid si prese Higuain a 19 anni, ne aveva uno in meno Iturbe quando alla sua porta bussò il Porto.
La razza è la stessa, quella dei fuoriclasse, così come una vita trascorsa col pallone fra i piedi. Come l'immagine postata sul profilo di facebook di Juan Manuel, la maglia dell'Argentina, un pallone consumato sotto i piedi, vicoli di periferia in sottofondo. Bellissima, è lì che si impara il calcio. Faccia da bambino e sguardo da duro, con quei tatuaggi sparsi ovunque che raccontano la sua vita ma soprattutto il legame coi suoi genitori. Pronto a sfidare i più grandi.
DALLE PARTI DEL MONUMENTAL. Il centro di tutto resta il River Plate, dove giocò anche il padre di Higuain. Il River ti forgia per bene. «Giocare al Monumental non è facile. Ci riesci solo se hai qualcosa di importante dentro», ha sempre detto Sean Sogliano, uomo-mercato dell'Hellas che in quello stadio leggendario c'è entrato più di una volta.
Per vedere Cirigliano e per dare un'occhiata ad Iturbe, ceduto in prestito al River lo scorso gennaio da un Porto che starà ancora mangiandosi le mani per essersi sbarazzato così in fretta di un simile patrimonio. Non era facile giocare al River l'anno scorso, dopo una retrocessione dalla Primera Division vissuta come una tragedia autentica. Là non ci sono mezze misure. O vinci o vinci. Pressioni vere, roba da mandarti in tilt se non sei abbastanza forte dentro. Iturbe ha la pelle dura, abbastanza per dribblare la polizia paraguaiana arrivata fino all'aeroporto di Asuncion per impedirgli di volare in Argentina e prendere una cittadinanza diversa da quella di madre e padre, quando alla porta bussò il primo bivio della sua vita.
STRADE PARALLELE. Higuain fece il percorso inverso a gennaio di sette anni fa. Dal River al Real di Don Fabio Capello, di Ronaldo, Roberto Carlos, Cannavaro, Beckham, Van Nisterlooy, Sergio Ramos ed un giovanissimo Borja Valero, adesso re della mediana alla Fiorentina.
A vent'anni Higuain aveva vinto già due scudetti e giocato coi migliori al mondo. Ne aveva cinque di meno di anni Iturbe, che da lì a qualche mese, nel 2009, avrebbe debuttato nel Cerro Porteno, in Paraguay, sotto l'ala protettiva di Pedro Troglio, uno che guarda caso aveva già messo piede a Verona vestendo nella stagione 1988-'89 la maglia dell'Hellas. Ci aveva visto giusto, davanti aveva un crack autentico. Anche il Porto lo capì, ma solo per un attimo. Preso e perso, compresa una clausola rescissoria di 60 milioni di euro che il passaggio al Verona ed il riscatto ad un quarto di quella cifra ha fatto saltare per aria. Tutte le big ancora non ci credono.
SENZA SOSTA. Higuain è quasi in doppia cifra col Napoli, terrificante terminale offensivo di una squadra e tre mezzepunte che giocano per lui. Iturbe ne ha messi cinque, uno più bello dell'altro, in un complesso operaio in cui tutti si dannano per l'altro. Iturbe ha cominciato col Livorno, concludendo uno slalom fenomenale a Bologna, piegando le mani di Neto a Firenze, bollando con una punizione delle sue il match con la Lazio e chiudendo la contesa di Udine.
Niente male per un ragazzino di vent'anni, capace di confermarsi ai livelli più alti dopo aver mostrato al mondo e davanti agli occhi di Neymar le sue doti cristalline, sotto forma di assolo con l'Under 20 argentina piegò il Brasile in cui c'erano anche Lucas ed Oscar, adesso stelle di Paris Saint Germain e Chelsea. Il ceppo è quello, non c'è discussione. Higuain ed Iturbe, domani avversari e un giorno compagni con l'Argentina. Prima o poi succederà, è scritto.
Alessandro De Pietro