BRESCIA. Il calcio, il suo mondo, è ancora l’habitat naturale di chi ha speso energie e convinzioni per portare in alto la maglia azzurra. Oggi Azeglio Vicini compie 80 anni, molti dei quali trascorsi a fare la fortuna dell’under 21 prima (miglior piazzamento, il secondo posto all’Europeo di categoria nel 1986 dopo la finale persa ai rigori con la Spagna) e della Nazionale poi, subentrando ad Enzo Bearzot nel 1986 e guidando Baggio e compagni ad Italia ’90, dove la squadra azzurra si piazzò terza perdendo quella “maledetta” semifinale con l’Argentina.
«Se Zenga non avesse fatto quell’errore in uscita, sarebbe ricordato come uno dei migliori portieri di sempre», ricorda il mister romagnolo, che dopo il 1991 proseguì la sua carriera nella sua Cesena (1992-1993) per terminarla all’Udinese (1993-1994), diventando in seguito presidente dell’Assoallenatori e del Settore tecnico della Figc.
Ripercorrendo come un film la sua vita professionale, vorrebbe schiacciare lo “stop” un attimo prima di quella scellerata uscita di Zenga che permise a Caniggia di pareggiare la rete di Schillaci, un 1-1 che spalancò la porta ai rigori, vinti poi da Maradona e soci, destinati alla sconfitta in finale con la Germania Ovest. Quella Italia, la sua Nazionale, avrebbe meritato di più del bronzo vinto a Bari ai danni degli inglesi: «Era una squadra di qualità, le sue prerogative erano la tecnica individuale e la velocità. Forse ci mancava un pò di determinazione nel fare gol, dovevamo lavorare tanto per riuscirvi ma di certo nei Mondiali casalinghi non ha ottenuto quanto meritava. Eppure, dopo tanti anni, quell’Italia-Argentina resta in testa ai dati dell’audience perchè la nostra era una Nazionale seguita, che piaceva».
Tanti i campioni che Vicini ha contribuito a valorizzare: «Se si ritorna con la mente a quegli anni, è facile fare il nome di Baggio per la qualità che esprimeva in campo. Però mi piace ricordare anche Baresi e Maldini: Paolo ha esordito con me e i due hanno giocato sempre a livelli eccezionali. E poi, come trascurare Vialli, Giannini, Donadoni e tanti altri...». Tra questi, ovviamente, l’emblema di Italia ’90, Schillaci: «Fu il capocannoniere di quel Mondiale (con sei reti, ndr) e fu votato dai giornalisti il miglior giocatore di tutta la rassegna iridata. Dopo si è un po’ perso ma in quell’occasione fu magico, e quegli occhi spiritati hanno rappresentato uno spot per il nostro calcio».
Il football di oggi sembra quasi un altro sport rispetto a quegli anni: «È cambiato molto, nei regolamenti come nel modo in cui viene seguito dalle televisioni. Le partite sono programmate praticamente tutti i giorni e ad ogni orario, anche a discapito degli stessi spettatori, che non vengono salvaguardati». Chi siede adesso in quella che fu la sua panchina gode di tutta la stima possibile: «Mi sembra che Prandelli finora abbia ottenuto dei buoni risultati. È mancata qualche prestazione nelle amichevoli di lusso ma l’Italia, negli appuntamenti che contano, non ha mai steccato. E, nonostante i tanti stranieri che giocano in campionato, ha saputo allestire una rosa ampia e importante».
Tra questi c’è anche Mario Balotelli, che per Vicini non è certo una scoperta: «Lo vidi giocare per la prima volta a diciotto anni e mai un giovane mi ha colpito allo stesso modo. Non partecipa sempre al gioco, ma quando lo fa sa essere decisivo. Avrà anche dei difetti caratteriali ma abbiamo bisogno di giocatori bravi. ci vuole un po’ di pazienza – conclude l’ex ct azzurro – e Prandelli ha dimostrato di saperlo gestire bene».