- L’anno scorso, dopo il debutto al Festival di Spoleto e alla vigilia di compiere 94 anni, aveva promesso che avrebbe ripreso questa sua ultima commedia, «Il cambio dei cavalli», durante questa stagione. E così eccola Franca Valeri, reduce dal Piccolo di Milano arriva all’Argentina a Roma da mercoledì 3 giugno a domenica 7, sempre guardando al futuro, facendo programmi. C’e ne è uno cui tiene particolarmente, riaprire lo storico Teatro Valle, dopo il periodo di occupazione cui lei dette il suo appoggio: «Sto scrivendo una specie di commedia per la riapertura di quel teatro al quale sono molto legata visto che vi debuttai con Alessandro Fersen nel 1947 e vi hanno debuttato molti miei lavori». Il testo sarà incentrato sulla figura di una custode che ha passato tutta la vita dentro il teatro, treatro in cui «è successo di tutto, ha debuttato Rossini, ha fatto fiasco Pirandello: io partecipai alla protesta per la sua chiusura. Dicevano che poteva venir commissariato, per cui quel gesto lì per lì mi parve meraviglioso. Il fatto è che poi la cosa si è cristallizzata in modo negativo e passano gli anni senza che si sappia cosa diventerà e quando potrà riprendere a funzionare come un vero teatro normale». Chissà se l’amministrazione comunale si sentirà in dovere di riuscire a esaudire questo suo desiderio? «Il cambio di cavalli» ha la regia di Giuseppe Marini e vede in scena, accanto alla Valeri come ormai da circa venti anni, Urbano Barberini, oltre ad Alice Torriani. «Urbano è uno degli attori che mi stanno più vicini da tempo: se sai per chi scriverai una parte, ti verrà meglio. Poi non è detto che sia un capolavoro, ed è da un pò che non me ne capita più uno…». Una commedia sulle differenze e il rapporto tra generazioni in cui ognuno rivela la propria umanità, forza e debolezze, testo ironico e frizzante, ricco di tutte quelle notazioni che hanno fatto e fanno della Valeri una delle nostre più severe e leggere critiche del costume, da «le fotografie esposte sono ciarpame da fiction» a «i ristoranti propongono oggi piatti problematici» sino alle frecciatine femminili: «Le donne sono spesso meglio di quel che sembrano, al contrario degli uomini» e alle sottolineature su frasi, parole, aggettivi che rivelano chiara appartenenza a ieri o a oggi (a «Ho altre priorità» replica: «È una battuta che appartiene a questo secolo»). Si propone il rapporto tra un’anziana signora e il giovane Oderzo, figlio del suo storico amante ormai scomparso, giovane imprenditore sempre in giro per il mondo, ma che spesso tra un viaggio e l’altro le arriva in casa per quel «cambio di cavalli» cui allude il titolo, ovvero per confrontarsi, battibeccare, ma anche imparare e ricaricarsi, prendere nuova energia per ripartire e partecipare alla corsa del circo della vita, dove gli si affianca una bellissima escort, figura dirompente che vorrebbe bere solo Champagne e che riuscirà a diventare sua moglie. Davanti ai dubbi e al vacillare del giovane Oderzo, che lei chiama Odo non sopportando quel nome terribile: «Non sei Amleto» gli dice la signora, un pò mamma e un pò anziana zia, ricordandogli che il padre è morto nel suo letto e la madre convive placidamente con un tranquillo signore. La verità è che lui sostiene «Essere o non essere» sia l’unica vera eterna domanda senza tempo e, forse, senza risposta, tranne quel «morire, dormire, forse sognare» sempre del principe danese. Insomma, un’attrice, un’artista, una donna sempre sulla breccia e che tempo fa ha anche smentito di avere il Parkinson: «Sono andata a farmi visitare da un neurologo: ‘ solo un tremito ereditariò mi ha tranquillizzata. Infatti ce l’aveva anche mio padre, che rideva beffardo quando spandeva sul piattino un pò di caffè», aggiungendo che alla vigilia di compiere 95 anni, a luglio, certo non ce la fa più a scorazzare per il palcoscenico. Però in scena la voce si distende, torna quella di sempre« e Alessandro Chiti ha costruito una scena che ruota tutta attorno a lei, seduta su una poltroncina dove i suoi toni sarcastici, la sua mimica e i suoi gesti ironici sono ancora vivi e strappano l’applauso.
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