EL TIGRE E’ PRONTO A USCIRE DALLA GABBIA: NON VEDO L …

Luciano Pignatta racconta il lungo e interessante percorso che lo ha portato dalle giovanili del Newell's alle esperienze italiane. Fino alla Spal: ''Questa maglia ha qualcosa di speciale e impone di vincere''. E sui soprannomi: ''I tifosi possono chiamarmi come vogliono, sono qui per dare aiutare la squadra''

“Di quella pasta sono fatti i goleador. Fantasmi che vengono fuori da un posto qualunque”. Così si espresse Osvaldo Soriano in uno dei suoi memorabili racconti sul calcio. Soriano, argentino tutto d’un pezzo, come il suo connazionale Luciano Ariel Pignatta, di professione attaccante della Spal. Che non viene affatto da un posto qualunque visto che è nato a Rosario. La città natale di Lionel Messi, la città dove Oscar Massei si è imposto come calciatore prima di sbarcare in Italia, la città che vanta due club dal seguito gigantesco come Newell’s e Rosario Central.
Un po’ come Massei e come un’intera generazione assieme a lui, Pignatta un giorno ha deciso di chiudere in una valigia i ricordi di pomeriggi luminosi in stadi stracolmi per provare l’avventura nel Nuovo Continente. D’altronde i suoi bisnonni avevano fatto il percorso contrario qualche decennio prima, partendo da Cuneo e arrivando nella terra dove i portieri si chiamano arqueros. Da quasi dieci anni questo ragazzo dal volto bonario e sorridente vaga per i campi del nostro Paese, segnando e facendosi nuovi amici. Il curriculum inizia a essere lungo: Genzano, Potenza, Bitonto, Sapri, Scafatese, Nocerina ed Ebolitana. Tanta serie D, tanto sud, ma anche una buona dose di C2. A Ferrara i tifosi più anziani lo anno già bollato sbrigativamente come P’gnata, attingendo dal dialetto. Altri hanno preferito la suggestione esotica portata in dote dal nomignolo El Tigre. Una cosa è certa: Luciano Pignatta non è facile da intervistare. E non perché non si conceda volentieri, quanto perché è sempre l’ultimo a lasciare lo spogliatoio dopo l’allenamento. Reminiscenza di tempi e modi d’oltreoceano, dove il tempo sembra scorrere più lento e dove lo spogliatoio viene vissuto molto più intensamente.

Insomma, sintomo di una mentalità decisamente diversa.
“Sì, in Argentina si arriva molto prima al campo, si porta il mate, si entra in spogliatoio, si mette la musica… c’è un altro clima. Entri in magazzino, scherzi, parli con lo staff e con gli altri compagni. E poi c’è il dopo: rimani al campo molto di più”.

Qui il mate fai fatica a trovarlo… e forse anche qualcuno che lo beva assieme a te.
“Già, ormai ho perso l’abitudine dopo tanti anni. Anche perché bisogna andare a cercare le erbe e non è semplice”.

Al di là di questi dettagli, la domanda più importante e più immediata è sicuramente la più semplice: come stai?
“Eh, speriamo in via di definitivo recupero, sto un po’ meglio, solo che non vorrei commettere lo stesso errore della prima giornata, affrettare i tempi e ritrovarmi indietro”.

Come hai vissuto questi primi mesi? Non deve essere stato facile rimanere fuori per gran parte del tempo.
“È frustrante perché l’anno scorso ho avuto un altro infortunio. In vacanza mi sono allenato bene per arrivare nella miglior maniera possibile in ritiro: all’inizio stavo bene, ma poi è insorto questo problemino muscolare. Speriamo di risolverlo il prima possibile”.

Dici che finalmente domenica potremo rivederti in azione?
“Dipende come mi trovo, spero di poter dare una mano e fare almeno uno spezzone di partita”.

Nell’unica partita di campionato in cui sei stato schierato hai dimostrato di essere un attaccante abbastanza eclettico, non esattamente un uomo d’area.
“È così, sono uno a cui piace muoversi, non mi piace stare in area. Nella mia carriera i ruoli in avanti li ho fatti tutti, a volte ho persino giocato da esterno di centrocampo”.

Riavvolgiamo ulteriormente il nastro: come è nata l’operazione che ti ha portato alla Spal nello scorso luglio?
“Sono venuto grazie al mister Francesco ‘Ciccio’ Modesto, ci tengo venga scritto. Ci conosciamo da tempo e durante l’estate mi ha parlato di questa possibilità. Al nord non mi conoscevano e Modesto mi ha suggerito di giocarmi questa carta. La Spal non è una società qualsiasi, se fosse stata un’altra probabilmente non avrei azzardato un trasferimento del genere. Così sono partito per il ritiro senza sapere cosa poteva accadere, anche perché al mister potevo anche non piacere e ritrovarmi a casa dopo due giorni”.

Modesto ha lasciato Ferrara un paio di settimane fa.
“Mi dispiace non sia potuto rimanere: sia lui sia Ristic (il vice allenatore – ndr)potevano essere pedine importanti per il gruppo, sia per la loro professionalità, sia per l’esperienza che sono in grado di mettere a nostra disposizione”.

Alla fine hai fatto tutto il ritiro e pare che il mister creda molto in te.
“Penso di sì, me l’ha dimostrato spesso, anche schierandomi nella prima di campionato dopo due settimane che ero fermo”.

Tra i giocatori a disposizione di Sassarini sei senz’altro quello dal curriculum più esotico: quando sei arrivato in Italia?
“Eh! È una lunga storia… pensa che in realtà non dovevo neanche arrivarci qua. Ti dico con precisione: sono qui dal 4 agosto 2004. Insomma, sono quasi dieci danni. In Argentina giocavo in serie B, nel Central Cordoba, ovvero la terza squadra di Rosario, la mia città. Però prima di arrivare lì ho fatto tutta la trafila delle giovanili nel Newell’s. Durante quel periodo sono successe molte cose, tra cui la morte di mio padre e per un periodo non ho più voluto giocare. Per un anno sono rimasto fermo, poi un amico mi ha convinto a giocare nel Central fino a che non si è aperta la prospettiva di un trasferimento in Messico”.

Però in Messico non ci sei mai andato.
“No, infatti. C’era questo procuratore che voleva portarmi in Italia, però si trattava di giocare in Eccellenza e l’offerta economica non era granché, di certo non paragonabile a quella che potevo ricevere dalle squadre messicane che si erano interessate a me. Ovviamente in quel momento non ne valeva la pena se non fosse che il passaggio in Messico sfumò improvvisamente. Decisi allora di trovarmi un’altra squadra in Argentina: prima che potessi riuscirci mi richiamò quel procuratore italiano e mi convinse a trasferirmi qui. Di certo non sono stati i soldi a farmi prendere questa decisione, visto che erano pochi. E così sono arrivato allo Sporting Genzano, in provincia di Potenza. All’epoca avevo il biglietto del ritorno in tasca e pensai: se non mi piace posso tornare in Argentina. Nel frattempo sono passati quasi nove anni!”.

È stato difficile adattarsi a un posto totalmente diverso? Molti tuoi connazionali finiscono col sentire la mancanza della loro patria.
“Sarò sincero, a me non manca più di tanto: ci torno per un mese all’anno durante la pausa dei campionati. Quando arrivai in Italia ero assieme a un gruppo di altri argentini e ricordo di averli visti molto sofferenti. Telefonate continue in Argentina, addirittura pianti di nostalgia. Personalmente non ho mai avuto di questi problemi, mi sono sempre trovato bene con la gente. Loro invece si chiudevano e stavano esclusivamente tra di loro. Io però non ne sentivo il bisogno, anche perché volevo imparare la lingua e per farlo devi necessariamente uscire. Andavo in giro con un altro, ci esprimevamo un po’ come ci veniva (ride), parlando soprattutto a gesti. Poi studiando, guardando la tv e leggendo i giornali le cose sono decisamente migliorate”.

Te l’hanno detto che Ferrara è famosa – tra le altre cose – per la nebbia, vero?
(Ride) Lo so, lo so… però anche al Sud piove sempre”.

Beh insomma… c’è una certa differenza.
“Ma no, un anno ho giocato a Sapri. Mi dissero: ‘Qui c’è un clima spettacolare, non piove mai’. Risultato: quattro mesi di fila in cui ogni giorno è venuta della pioggia. Incredibile. Quindi sono abituato a ogni tipo di clima”.

In allenamento dai sempre l’impressione di essere un po’ più spensierato degli altri: c’è davvero qualcosa di differente nel tuo modo di affrontare le cose?
“Mah… ti posso dire che prima non ero così: da ragazzino mi incazzavo, vivevo il calcio con molta più tensione. Adesso mi sto godendo di più le cose. Cerco di scherzare e sdrammatizzare e d’altra parte ci sono momenti di ogni tipo: quello in cui lavorare duro e altri in cui fare la battutina e rilassarsi”.

C’è un altro particolare che ti fa risaltare tra gli altri: i pantaloncini risvoltati durante allenamenti e partite. Come nasce questa scelta?
"In realtà non nasce, me l’hanno rimproverato in tanti, però c’è una spiegazione: io sudo tantissimo nella zona delle gambe e mi capita spesso di ripiegare i pantaloncini in maniera istintiva per stare più comodo. A volte certi movimenti diventano poco fluidi, soprattutto perché oggi i pantaloncini sono molto lunghi, non come una volta in cui erano più comodi. D’inverno uso gli scaldamuscoli quindi più avanti non ci saranno problemi. Però lo so, me l’hanno detto in tanti che a livello di immagine non è una buona cosa, però io quando gioco non sento nulla: mi possono insultare e dire qualsiasi cosa, ma io sono isolato totalmente a livello mentale e finisco per non rendermene conto”.

E fuori dal campo? Che ne dici di Ferrara? Hai avuto modo di vederla un po’?
“Un po’ sì, ma fino a che non ricomincerò a giocare non voglio girare più di tanto, so com’è l’ambiente calcistico in Italia. Quando verrò impiegato proverò a godermi un po’ di più la città, per adesso mi limito a qualche passeggiata o una birretta con i compagni di tanto in tanto. Però Ferrara mi piace e geograficamente è piazzata bene: vicina a Bologna, a Firenze, a Venezia, alla Romagna, quindi le occasioni per vedere cose non mancano”.

Ma almeno hai trovato un posto in cui ti possano fare un buon asado?
“(Sorride) Non più tardi di qualche tempo fa ho visto che c’era questa specie di fiera in piazza Ariostea: non sapevo nulla di quell’iniziativa, avevo già mangiato e andando a fare un giretto mi sono imbattuto nello stand argentino: purtroppo ho dovuto mangiare di nuovo, mi sono seduto un attimo perché è stato come tornare nel mio paese!”.

Che poi, per quanto ne sappiamo, in Argentina chiunque ha un soprannome: il tuo qual è? Qui hanno già iniziato a chiamarti El Tigre…
“Ti dirò che a me non è mai stato dato un vero soprannome, fin da quando ero ragazzo gli amici hanno sempre usato il diminutivo del mio cognome, ovvero Pigna. O al massimo Nero, Lucho. Però non ho mai avuto un soprannome vero e proprio. Hanno cominciato a darmeli qui in Italia: Falco, Pantera… queste cose animali. Non è che non mi piaccia, però non ci do importanza”.

Allora noi continueremo a chiamarti Tigre.
“Sì, ma non è un problema… i tifosi possono chiamarmi come vogliono, per me l’importante è giocare e fare bene”.

I tifosi, appunto: sei qui da poco ma ti sarai reso conto delle aspettative che Ferrara ha nei confronti di te e dei tuoi compagni.
“Certo, è normale, se uno viene qua l’obiettivo è vincere, anche se siamo partiti in ritardo.Faccio un esempio: un giocatore che va al Milan sa che non è il momento d’oro di quella squadra, ma indossare quella maglia ti obbliga a vincere. Qui è lo stesso, la Spal per la prima volta è in questa categoria e ne deve uscire”.

I numeri testimoniano un attaccamento che poco ha a che fare con la serie D. Anche se non è facile dirlo a uno che viene da un paese in cui gli stadi sono sempre strapieni.
“È diverso, in Sudamerica il calcio viene vissuto diversamente, non so perché. Tutti i campi hanno un pubblico che non scende mai sotto le ventimila presenze. Il Rosario Central ha una media di cinquantamila, il Newell ha dovuto ampliare lo stadio di recente. Ho vissuto diversi campi caldi, però posso dirti che in Italia di paragonabile al tifo della Spal ho visto solo quello della Nocerina. Anche perché hanno calcato palcoscenici importanti. Le altre sono state più che altro squadre di paese.

D’altronde il passato biancazzurro parla da solo, tanto che prima della partita col Formigine nel vostro spogliatoio è entrato a farvi visita Oscar Massei, tuo connazionale e leggenda spallina.
“Io non sapevo proprio che fosse argentino! Se me l’avessero detto prima ci avrei senz’altro parlato. Infatti ho rimproverato Bubu (Mantovani, il massaggiatore – ndr) perché poteva avvisarmi, almeno mi sarei presentato. Mi hanno detto che non abita qui e non si sa se verrà di nuovo a farci visita, spero torni durante questa stagione perché ci terrei molto a scambiarci qualche parola”.

Te lo chiedo, anche se so già la risposta: c’è un giocatore a cui ti ispiri o che è stato un modello per te fin da quanto eri bambino?
“Ah beh, inutile dirtelo, Maradona. Però nell’arco della mia vita ho ammirato tanti calciatori e ho provato a prendere tante piccole cose da ciascuno. Diciamo che se devo scegliere uno dico Maradona, è stato il più grande”.

Hai mai avuto per davvero la possibilità di rimanere tra i professionisti durante la tua esperienza italiana?
"Ho fatto un po’ di C2 e ho avuto qualche proposta anche dalla C1, però in Italia il meccanismo è un po’ strano: ti viene offerto un contratto in una categoria superiore, ma a condizioni peggiori. Ti dicono: ‘vieni dalla C2 e noi ti diamo una possibilità di dimostrare quanto vali in C1’. È strano: in Argentina più sali di categoria e più ti pagano. Qui no, almeno nella maggior parte dei casi. Penso sia semplice: se ti vogliono significa che hai già dimostrato qualcosa. Per via del mio carattere non mi sono mai prestato a questo tipo di ragionamenti, ho fatto una scelta diversa, anche se qualcuno potrebbe dirmi che è un ragionamento da mercenario”.

Beh, adesso sei alla Spal e il tuo possibile compagno di reparto è Roberto Rocchi. Anche lui parecchio sfortunato visto che dopo l’esordio di Budrio non è più sceso in campo. Pensi di poterti trovare bene con lui?
“Sì, ma in carriera mi sono sempre trovato bene con i compagni d’attacco perché sono duttile. Se vedo che ho un compagno di reparto a cui piace di più tornare a prendere palla non ho problemi ad andare davanti. Se viceversa capita di avere uno come Rocchi che è più prima punta posso arretrare io”.

Adesso non resta che aspettarti… in bocca al lupo Lucho, vogliamo vedere tanti gol.
“Crepi! Anche io mi aspetto molto! Non vedo l’ora di poter dare una mano, davvero”.

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