Economia sul filo del default: l’Argentina spera nelle Idi di Marzo

Idi di Marzo: per l'economia argentina datano 2015 (Morte di Cesare, Onofrio Bramante, 1973)

Idi di Marzo: per l’economia argentina datano 2015 (Morte di Cesare, Onofrio Bramante, 1973)

Come un tempo fu per il destino di Roma, ora anche l’Argentina ha un appuntamento con la storia alle Idi di marzo. A fissare la data (questa volta sarà il 3 del suddetto mese, e non il 15 che fu fatale Cesare), è stato il giudice americano Thomas Griesa, che ha in mano il contenzioso sul debito del 2001 tra Buenos Aires e gli hedgefund. L’incontro ha una grande importanza macro-economica e sociale, perché dall’andamento del negoziato per risarcire i tango bond scaduti con la famigerata crisi di inizio millennio, dipende ora la possibilità argentina di tornare a finanziarsi in dollari sui mercati esteri e quindi di usare questi capitali per le politiche di contenimento cambiario del 2015 e più in generale per quietare il dissenso di un popolo schiacciato dall’inflazione.

La grande novità rispetto a quando lo scorso luglio la presidente Cristina Kirchner si è rifiutata di pagare (come impone l’ultima sentenza del giudice Griesa) il totale del valore nominale indicato sulle obbligazioni dichiarate nulle nel 2001, riguarda la scadenza della clausola Rufo. Dal 31 dicembre 2014, infatti, non è più in vigore la regola del pari passu, per cui tutti i creditori dell’Argentina avrebbero potuto rivendicare anche per loro stessi il trattamento ottenuto dal miglior negoziatore.

Finché la Rufo è esistita, Buenos Aires ha offerto a quelli che chiama “fondi avvoltoio”, le stesse condizioni che aveva proposto a tutti gli altri titolari di tango bond nei concambi del 2005 e del 2010. Con questi due swap, l’Argentina ha convinto il 95% dei proprietari dei suoi titoli di Stato a riconsegnare le azioni dichiarate nulle e ricevere in cambio il 30% del loro valore, in forma di nuovi titoli pubblici.

I fondi avvoltoio, però, non hanno mai accettato di avere ciò che avrebbero potuto ottenere anche prima di una sentenza a loro favore, come d’altra parte nemmeno l’Argentina si è esposta ad offrire loro condizioni migliori, che poi avrebbe potuto rivendicare anche quel 95% che aveva spinto (per sfinimento) a mettersi il cuore in pace, accettare nuovo debito argentino e sperare di rientrare dalla perdita nel corso degli anni. Se lo avesse fatto, sarebbe certamente tornata in bancarotta. Misconoscendo la decisione del tribunale e rifiutandosi di saldare, invece, si è vista attribuire l’etichetta di selective default dalle agenzie di rating e la riconferma di inaffidabilità sulle piazze estere, ma almeno non è entrata in una cessazione dei pagamenti totale (che avrebbe disastrose conseguenze sulla popolazione).

Senza la clausola Rufo, ora l’Argentina può permettersi di offrire qualcosa in più agli hedgefund, anche se formalmente insiste nel dire che non pagherà un centesimo di più di quanto già sborsato nei due swap di qui sopra. Nei primi giorni dell’anno, il ministro dell’Economia, Axel Kicilloff, ha rilasciato un’intervista al solito ricca di retorica peronista, ma nelle cui mescole si è trovato anche un dato concreto: formalmente il governo Kirchner non è disposto a compiere alcun gesto d’avvicinamento.

Kicilloff, un giovane brillante fortemente criticato da imprenditori e sindacati per il suo profilo teorico e poco pragmatico, ha ribadito che nei prossimi incontri con gli avvocati dei fondi avvoltoio offrirà 6 miliardi 500 milioni di dollari in nuovi titoli, una cifra che, considerati gli interessi, avvicinerebbe secondo lui i creditori a riavere il 100% di quanto pagato a suo tempo, ma che non si scosta dai termini degli swap del 2005 e del 2010.

Dal canto loro, gli holdout hanno in mano un verdetto che gli permette di chiedere 23 miliardi, e cioè più o meno quanto possiede l’intera Banca Centrale argentina. Gli esperti constatano ora che la Casa Rosada dovrà per forza offrire qualcosa in più rispetto a luglio, anche se questo sarà visibile solo nei dettagli della proposta scritta, poiché il governo non vuole pagare il costo pubblico di aver chinato il capo davanti ai creditori americani, di cui ha fatto (senza risparmiare in invenzioni), un simbolo dell’imperialismo e il peggior nemico del popolo argentino.

Il momento chiave è l’incontro previsto per il 3 marzo, anche se già in gennaio sono stati fissati due appuntamenti importanti. Il primo si terrà nel Regno Unito, dove il giudice a carico di uno dei capitoli europei della disputa, deve stabilire se obbligare o meno la banca newyorkese BoNY a pagare i titolari dei nuovi tango bond. Lo Stato argentino ha versato a fine giugno quanto doveva ai risparmiatori per la scadenza della cedola di allora, ma Griesa da New York ha congelato il bonifico al BoNY, considerando il denaro appena uscito dalle casse argentine come esposto a embargo, per risarcire i fondi avvoltoio che non vengono pagati. Allo stesso modo, anche Griesa dovrà decidere se autorizza la banca Citibank a pagare i titoli argentini in dollari ai suoi finanziatori. Se una o tutte e due le decisioni daranno l’ok al bonifico, l’Argentina avrà incominciato la sua uscita dal selective default, anche se è più probabile che sarà solo il foro inglese a riconoscere le argomentazioni di Cristina Kirchner.

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