Argentina, media in guerra

Buenos Aires - L'Argentina torna ad essere protagonista nella 69esima Assemblea della Società interamericana della Stampa (SIP), conclusasi ieri a Denver, Colorado, negli cuore degli Stati Uniti. Una delegazione argentina, infatti, ha presentato all'Assemblea un documento in cui vengono denunciati «gli ostacoli, le minacce e gli attacchi» subiti dai giornalisti del Paese e «messi in atto, principalmente, dal Governo nazionale». Il documento, letto pubblicamente nel corso dell'incontro, ha toccato i temi più importanti del complicato rapporto con l'esecutivo guidato da Cristina Kirchner, ovvero pubblicità, Legge del Mercato dei Capitali e la controversa Legge dei Media. Il punto di partenza, però, sono le 18 aggressioni documentate, tra le quali spiccano le minacce del Segretario del Commercio interno Guillermo Moreno ad una giornalista in un cocktail nell'ambasciata statunitense di Buenos Aires e l'aggressione a due giornalisti nel corso della grande manifestazione contro il Governo Kirchner conosciuta come 18A (da 18 aprile 2013, data dello svolgimento).

Secondo il presidente della SIP, l'ecuadoriano Jaime Mantilla, l'Argentina fa parte di quel gruppo di Paesi formato, tra gli altri, da Venezuela, Ecuador e Bolivia, nei quali «si cerca di zittire la dissidenza e stabilire un'egemonia della comunicazione ufficiale». Per Mantilla, inoltre, «il sabotaggio pubblicitario cui sono sottoposti alcuni media, l'uso di risorse pubbliche come mezzo di disciplinamento, il rischio di statalizzazione della produzione della carta per i giornali, l'applicazione selettiva di leggi e le aggressioni ai giornalisti compongono un cocktail che colpisce la libertà d'espressione». Il discorso di Mantilla, in questo senso, riporta l'attenzione su uno degli aspetti sottolineati dalla missione argentina, ovvero «il boicottaggio pubblicitario» ai media dell'opposizione e «l'aumento arbitrario dei fondi per i media ufficiali registrato nel 2013», un anno che, è bene ricordarlo, fra poco meno di una settimana vivrà un'importante appuntamento elettorale.

La questione della pubblicità, in particolare, secondo i delegati argentini, ha portato alla formazione di un gruppo di deputati che, una volta al mese, presentano al Congresso un vero e proprio «indice della censura pubblicitaria nei media grafici», che comprende i quotidiani editati a Buenos Aires. Stando ai dati di questo indice, la pubblicità sui giornali colpiti, principalmente La Nación, Perfil, El Cronista e, soprattutto Clarín, è diminuita del 75% rispetto a gennaio 2013, ultimo mese prima dell'inizio del sabotaggio. A questo si aggiunge che l'esecutivo, in più occasioni, ha ritirato finanziamenti pubblici già assegnati alle testate per disaccordo con la loro linea editoriale, azioni già sanzionate dalla Corte Suprema argentina. Sanzioni alle quali il Governo, almeno finora, non ha prestato attenzione.

Uno dei temi caldi, come accennato, è la legge che regola il mercato dei capitali, che permette all'organo di controllo di «separare gli organi di amministrazione delle imprese quotate in borsa quando ritenga esistere un pericolo di estrema gravità per i diritti degli azionisti minoritari». Caso già applicato, per esempio, al gruppo Clarín, principale oppositore multimediale del Governo. La misura più discussa , però, è la Legge dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva, meglio conosciuta come Legge dei media, misura voluta dal Governo Kirchner nel 2009 per riformare la preesistente legislazione in materia e che, secondo la delegazione argentina presente a Denver, è stata finora «applicata in maniera selettiva dall'esecutivo», e assieme alla pubblicità ufficiale è stata usata come «sistema di premio e castigo».

A quattro anni dalla sua promulgazione, la Legge dei media ha creato uno scenario che si allontana sempre più di principi di equità con i quali era stata presentata. I dati più significativi, come confermato dal documento della delegazione argentina, sottolineano una pronunciata colonizzazione dei media da parte del Governo, una moltiplicazione di nuove licenze per attori statali (il 96% delle licenze concesse in assoluto) e il fallimento dei concorsi per assegnare spazi sulla televisione digitale a privati. Il documento, inoltre, ha ricordato che la Legge «colpisce direttamente la libertà d'espressione, genera discriminazione tra i distinti operatori privilegiando gli interessi dello stato e compromettendo l'indipendenza giornalistica dei media».

In un clima segnato da una tensione in crescita progressiva, nel quale la presidente Kirchner non ha ancora fatto la sua apparizione dopo l'improvviso intervento al cranio della scorsa settimana e dove, soprattutto, ora dopo ora le elezioni legislative del prossimo 27 ottobre vanno ad accaparrarsi l'attenzione esclusiva dell'opinione pubblica, la presa di posizione della SIP rispetto alla situazione mediatica argentina, è solo una bomba fra le tante che ogni giorno esplodono fra Governo e opposizione. La legge dei media rappresenta il cambio di atteggiamento dell'esecutivo dopo l'aumento delle voci di dissenso registrato nell'ultimo anno e mezzo, principalmente legato alle misure economiche di blocco dei cambi valutari e dell'import export. Con il Paese letteralmente spaccato in due, tra i seguaci irriducibili del kirchnerismo e le opposizioni, sarà il risultato delle elezioni a stabilire il peso reale di quest'ultimo attacco frontale al Governo.

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