Buenos Aires - Una delle scelte economiche migliori fatta dal Governo di Cristina Kirchner negli ultimi mesi, fra tante a dir poco discutibili, è stata quella di 'congelare' il prezzo di alcuni beni di consumo di massa, per tenerli al riparo dall'inflazione galoppante. Uno di questi è il prodotto simbolo della multinazionale statunitense Mc Donald's, ovvero il Big Mac. Grazie ad un accordo informale siglato tra i vertici della compagnia e il Segretario del Commercio, Guillermo Moreno, il Governo argentino si è impegnato a pagare un sussidio per ogni Big Mac venduto in Argentina, che mantiene così il suo prezzo tra i più bassi del mondo, 32 pesos, ovvero 4 euro. Peccato che Mc Donald's, che nel frattempo sta portando avanti un'imponente campagna di espansione nel Paese, non pubblicizzi o addirittura tenga nascosta l'informazione.
Il panino più famoso del mondo, come noto, viene usato dalla rivista britannica 'The Economist' come indice di riferimento per comparare i livelli dei prezzi e i movimenti dei cambi. In Argentina, il celeberrimo doppio hamburger con lattuga, cetrioli, cipolla e formaggio costa 21 pesos, circa 2 euro e 65 centesimi. Se si aggiunge una porzione di patate fritte e una bibita si arriva ai già citati 32 pesos, per un valore, indubbiamente, tra i più bassi del mondo. Secondo il cambio ufficiale attualmente in vigore in argentina, il Big Mac vale 3,62 dollari, 5,51 col menù completo. Negli Stati Uniti, quello stesso prodotto, costa 4,56 dollari da solo e supera i 7 dollari col menù. In Cile, quei valori passano rispettivamente a 3,94 e 6 dollari, mentre in Venezuela salgono a 7,15 e 19 dollari. In linea con quelli argentini i prezzi di Italia, Spagna e Australia e Canada, mentre in Sudafrica, Cina, Indonesia e Russia sono addirittura più bassi.
Nonostante il prezzo, il Big Mac, non è l'hamburger preferito dagli argentini. Il motivo principale, come detto, è che Mc Donald's non informa adeguatamente i clienti del Paese sudamericano che si tratta del menù più economico. I menù più economici e più pubblicizzati costano dai 50 ai 70 pesos (tra i 6 euro e 30 e gli 8 euro e 80 centesimi). Basta fare un giro per le succursali di Buenos Aires della compagnia statunitense per rendersi conto che l'opzione Big Mac non appare su nessun cartello luminoso ne volantino pubblicitario, ma solo in piccolo su dei tariffari quasi invisibili ai clienti. I cartelli più grandi, invece, mostrano solo le opzioni più costose in perfetta linea con le più classiche politiche di marketing, ma allo stesso tempo lontani dall'accordo che dovrebbe proteggere i cittadini dall'inflazione.
«Non è giusto che non facciano sapere nulla, un'opzione così economica dovrebbe essere pubblicizzata» protesta Soledad mentre è in fila per il suo hamburger. «Vogliono fare più soldi vendendo i menù più cari» incalza Facundo che la segue nella fila. Stesse frasi fra i tavolini dove pochissimi sanno del prezzo congelato. Due giovani impiegati, invece, provano a spiegare che «le opzioni più in vista sono le migliori per i clienti» dice il primo «e poi non c'è spazio per il Big Mac sui cartelloni» aggiunge il secondo.
Con le sue sette filiali nel piccolo Paraguay e passando per le 20 in Perù, le 97 in Colombia, le 192 in Argentina e le ben 480 in Brasile, non si può certo negare che Mc Donald’s sia entrato a far parte dei costumi culinari sudamericani. Ma l'Argentina non è l'unica parte del continente dove sono nati dei problemi, anzi c’è un paese dove il colosso del fast food nulla ha potuto contro il legame tra gli abitanti e la cucina locale: la Bolivia. Per questo motivo, nel 2002, la compagnia decise di gettare la spugna e chiudere tutte le filiali nel paese. Le ragioni di quel fallimento vennero addirittura analizzate in un documentario intitolato 'Por qué quebró McDonald´s en Bolivia?' (perché Mcdonald’s è fallito in Bolivia), co-produzione tra Bolivia, Argentina e Venezuela diretta dal regista boliviano Fernando Martinez.
Le chiavi del fallimento, secondo il documentario, sono solo apparentemente economiche. Se è vero, infatti, che il menù economico di Mcdonald’s era di 25 pesos boliviani contro i 7 necessari all’epoca per ottenere un pranzo completo a La Paz, è anche vero che le gente comune, in Bolivia, vive un rapporto strettissimo con la propria terra e con la propria cucina, a loro volta legate indissolubilmente. La seconda parte del documentario è, quindi, soprattutto un viaggio nella cucina boliviana, dove la scomparsa della multinazionale dal mercato viene presentata come un evento semplicemente inevitabile. Altro episodio da dimenticare è sicuramente quello della coda di topo trovata da un giovane cileno proprio in un Big Mac che aveva acquistato in un centro commerciale della località di Temuco, nella regione dell’Araucania.
Ma c'è, naturalmente, anche chi non rinuncerebbe mai a Mc Donald's; è la Colombia, dove dal 2012 i panini della multinazionale statunitense hanno superato, nel gradimento, i ristoranti locali. I dati, in quel caso, erano emersi da uno studio di settore compiuto dall’azienda Ibope e reso pubblico dalla compagnia Frisby, specializzata in pollo fritto e diretta concorrente di Mc Donald's. Quello studio metteva in evidenza, però, un elemento fondamentale, ovvero che tutte le catene di fast food recensite avessero un altissimo tasso di preferenza. Anche senza prezzi congelati.