Argentina, il caso Clarìn infiamma il rapporto governo-magistratura

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Un nuovo episodio della telenovela infinita tra il gruppo Clarìn e il governo Kirchner ha segnato l’inizio della settimana. L’esecutivo ha presentato martedì scorso un ricorso straordinario dinanzi alla Corte Suprema per lasciare senza effetto la decisione della Camara Civil y Comercial Federal di impedire l’entrata in vigore della discussa Ley de Medios. Una misura cautelare, quella dei giudici, che favorisce il colosso mediatico argentino Clarìn e acuisce lo scontro tra politica, mondo dell’informazione e magistratura. Il nuovo passo fatto dal governo segue il respingimento avvenuto lunedì, sempre ad opera della Corte, di un altro ricorso per saltum nel quale l’esecutivo chiedeva che fosse lo stesso tribunale supremo a dirimere la controversia.

La Ley de Medios è una norma approvata nel 2009 dal parlamento argentino con l’obiettivo di evitare la formazione di monopoli e ridurre la concorrenza sleale o dominante nel settore comunicativo. La legge fissa limiti per le quote di mercato e per il numero di licenze che possono essere detenute dagli operatori radiotelevisivi. Tra i giganti mediatici del paese, il più interessato dal provvedimento è proprio il gruppo Clarìn che da ben tre anni ricorre alla giustizia per contestare la costituzionalità di questa legge.

Il gruppo Clarìn è uno dei principali colossi della comunicazione in America Latina, proprietario del quotidiano più diffuso in Argentina e con un fatturato di circa 2.000 milioni di dollari l’anno. La Ley de Medios consente di detenere un massimo di 24 licenze di TV satellitari, 10 radio o TV terrestri e non più del 35% di partecipazioni di mercato nel settore audiovisivo. Clarìn controlla 237 canali satellitari, 10 tra licenze radio e canali terrestri e il 42,8% del mercato radiofonico, 38% di quello terrestre e 59% satellitare.

Il verdetto dei giudici della Camara Civil y Comercial, pronunciato la scorsa settimana e oggetto del ricorso della Casa Rosada, ha reso inutile il denominato 7D (7 dicembre), data nella quale la presidenta argentina Cristina Kirchner avrebbe voluto iniziare la procedura di ritiro delle licenze al gruppo Clarìn. Ma soprattutto il verdetto concede un proroga importante al colosso mediatico, consentendogli di prendere tempo e di conservare, almeno per il momento, le sue attività radiotelevisive terrestri e satellitari.

Da dove nasce il muro contro muro tra Clarìn e la famiglia Kirchner? Tra le parti, in realtà, c’erano sempre stati buoni rapporti. Anzi, storicamente la linea editoriale di Clarìn si era dimostrata filogovernativa e tutt’altro che ostile alle politiche di Nestor Kirchner, ex presidente argentino nonché defunto consorte di Cristina. La situazione è peggiorata nel 2008 con il denominato “conflicto del campo: il gigante mediatico aveva criticato aspramente una proposta governativa di aumento delle imposte per i produttori agricoli. Da quel momento, secondo l’oficialismo, Clarìn avrebbe attaccato molte delle sue iniziative legislative. La situazione è poi culminata con l’approvazione della Ley de Medios e la conseguente controversia giudiziale che si sta trascinando da anni.

Clarìn considera questa legge – approvata a larga maggioranza dal congresso argentino – un provvedimento punitivo ordito dal governo Kirchner per ridurre gli spazi di critica al suo operato. Per questo il gigante della comunicazione ha basato i ricorsi di incostituzionalità su due ragioni: in primo luogo, perché la limitazione dell’uso delle licenze comporterebbe la perdita degli investimenti fatti dal gruppo e violerebbe il diritto alla proprietà privata. In secondo luogo, perché la legge avrebbe effetto retroattivo e priverebbe Clarìn della maggioranza delle licenze ottenute prima della sua approvazione nel 2009.

Le pressioni fatte dall’oficialismo sulla magistratura nelle ultime settimane non sembrano aver colpito nel segno e la situazione è precipitata dopo il verdetto di lunedì della Corte Suprema. La presidenta Cristina Kirchner ha lanciato pubblici strali contro i giudici che, a suo dire, starebbero cospirando contro il suo progetto politico con inclinazioni ‘golpiste’ equiparabili a quelle del gruppo Clarìn. La Kirchner avrebbe addirittura accusato il tribunale supremo di aver legittimato il golpe militare del 1976 che portò al potere il comandante Videla. Il ministro della giustizia, Julio Alak, si è spinto ancora oltre. Ha accusato i magistrati di andare contro la legge e di essere stati corrotti da Clarìn, minacciando addirittura un possibile giudizio politico da parte del parlamento.

Il direttore della Autoridad Federal de Servicios de Comunicaciòn Audiovisual (Afsca), Martìn Sabatella, ha definito la sentenza della Camara lesiva della democrazia perché sostituirebbe la giustizia al potere legislativo. Secondo la Afsca, ci sono almeno venti società di comunicazione che si sono già adeguate alla Ley de Medios. Tra queste la Prisa e UNO, casi esemplificativi di operatori che eccedono sia le quote di mercato detenute nel settore radiotelevisivo sia la quantità di licenze. “La legge si rivolge a tutti non solo ad un gruppo e non si applica contro chi è considerato nemico” ha dichiarato Sabatella, confermando inoltre che quando la Ley de Medios sarà pienamente operativa anche per Clarìn le licenze eccedenti saranno messe a concorso. Persistono comunque alcuni dubbi sulla procedura di assegnazione, dato che la Afsca – autority formalmente indipendente dal governo – è composta da dirigenti vicini all’oficialismo.

Controversa è anche l’interpretazione della Ley de Medios, che alcuni considerano lesiva del diritto alla libertà di espressione. Tra questi la senatrice Maria Eugenia Estenssoro, presidente della commissione parlamentare di Sistemi, mezzi di comunicazione e libertà di espressione. “Negli ultimi anni il governo ha accumulato controllo politico e finanziario sulla maggioranza delle tv e radio del paese. Forzare lo smembramento di Clarìn significherà gestire quasi completamente lo spettro comunicativo”. Anche la Sociedad Interamericana de Prensa (Sip) ha dato la sua solidarietà al gruppo Clarìn. In un comunicato seguito ad un’assemblea presenziata da decine di giornalisti, l’organo che rappresenta la carta stampata argentina ha affermato che nel caso Clarìn “è in gioco la sopravvivenza stessa della libertà di espressione nel paese”.

A sostenere invece la legittimità della norma c’è l’organo internazionale per eccellenza: le Nazioni Unite. Frank La Rue, relatore dell’Onu per la Libertà di espressione, ha definito la Ley de Medios equa e garante del pluralismo informativo. “Questa legge è un modello per tutto il continente americano. Per la libertà di espressione, il principio di diversità dei mezzi e il pluralismo sono pilastri essenziali” ha sottolineato. Una linea d’altra parte adottata dalla stessa Corte suprema di giustizia, che aveva segnalato lo scorso maggio che il gruppo Clarìn lamentava la violazione di questo diritto fondamentale da parte della legge, ma non lo aveva dimostrato con elementi probatori.

La patata bollente ora passa nuovamente nelle mani della Corte suprema che dovrà decidere sul ricorso straordinario presentato martedì dal governo. Ma questa serie di ricorsi e controricorsi che stanno andando in scena sarà interrotto solo quando Horacio Alfonso, togato costituzionalista designato per dirimere la controversia, sarà chiamato a stabilire se gli articoli della Ley de Medios contestati dal gruppo Clarìn siano contrari al dettato della Costituzione argentina.

15 dicembre 2012

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