Buenos Aires – Il 6 giugno 1978 Walter Canzani seppe che la sua infanzia era finita. Aveva 10 anni e suo padre, morto quel giorno di infarto, gli lasciava 48 ettari di terra, 23 vacche aberdeen angus, una sorella e una madre per dare una mano, una casa senza elettricità, una pompa dell’acqua, un trattore Fiat e il dovere di tirare avanti. Quello che Walter ancora non sapeva, era che la sua vita e quella degli altri gauchos dispersi come lui nel grande prato della pampa, si trovava al centro della storia nazionale, e che qualcuno contava su di loro per fare il grosso dello sviluppo economico.
Così era stato in passato, quando i cow boy di queste parti furono i soldati chiamati a mettere insieme i pezzi di un’Argentina enorme. Così fu nel XXI secolo, epoca in cui le loro carni e i cereali fecero la fortuna di un popolo; e così sarebbe stato poi, quando in nome del progresso, sarebbero stati costretti a cambiare i pascoli dei loro famosi manzi con i campi di soia.
I Canzani partirono da Macerata a fine Ottocento. Navigarono tre mesi, fecero scalo a Rio e iniziarono la loro America nel paesino di Alcorta, a 280 km da Buenos Aires. L’Argentina incentivava l’immigrazione, ma non cedeva terra agli stranieri e gli agricoltori della pampa erano quasi tutti mezzadri, sottomessi a condizioni ignobili dai latifondisti. Per Walter, un feudatario è «uno che vieta ai braccianti di entrare nell’estancia dal suo stesso cancello, ma che poi muore come gli altri». Eppure, un tempo erano anche peggio.
Nell’autunno del ’12, per esempio, si ebbe un raccolto straordinario e, dal poco che gli restò in mano, i contadini capirono
quanto erano sfruttati. Tra loro si diffuse il malcontento e il terzo giorno d’inverno, l’Associazione Italiana di Alcorta divenne l’epicentro di una sollevazione rurale, che indisse uno sciopero a oltranza. Tre mesi dopo, i capi del cosiddetto Grido di Alcorta erano stati uccisi, ma i gauchos avevano ottenuto importanti concessioni e fondato il loro primo consorzio nazionale: la Federacion Agraria.
Passati 30 anni, l’Argentina approfittò della II Guerra Mondiale per fornire alimenti alle potenze in conflitto e i Canzani comprarono la terra che aravano. Erano cittadini della prima economia latinoamericana e allevatori nel primo esportatore di carne al mondo: una nazione povera d’industria, in cui molto del pil si faceva nei campi.
«Tutto cambiò con l’arrivo del generale», dice un amico di Walter mentre sorbisce il suo infuso di mate. Peron fu il modello di caudillo sudamericano: una personalità carismatica che emerge dal caos e conquista le masse col bastone e la carota. Nei suoi tre mandati presidenziali, fu capace di tutto e del suo contrario, anche se è vero che soprattutto all’inizio fece molto per i poveri. Economicamente, inaugurò la stagione degli espropri e del monopolio di Stato, costruendo industrie e infrastrutture con le tasse sull’agricoltura. Il secondo trattore Fiat dei Canzani era made in Argentina, ma produceva soprattutto per lo Stato.
Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, quando una violenta dittatura militare sostituì il peronismo e poi vennero un governo di larghe intese e il neoliberalismo di Menem, il Paese attraversò momenti duri. «Quando morì mio padre, la soia iniziò a tirare forte – ricorda Walter al fresco del suo portico di vite – Ma la carne era ancora l’orgoglio delle pampas». Delle 23 vacche che ereditò, arrivò a 50 aberdeen, olandesi e jersey.
Con la famigerata crisi del 2001, molti argentini passarono dal ceto medio all’indigenza, anche se il loro riscatto nazionale era più vicino di quanto sembrasse: nel 2003, Nestor e Cristina Kirchner ripescarono il peronismo ortodosso e, con una forte presenza dello Stato nell’economia, cavalcarono l’onda della soia. Grazie alla domanda asiatica, si passò dai 180 dollari la tonnellata del ’92, ai 407 del 2004 e i Kirchner ci misero il 35% di imposte sull’esportazione. Così, spinsero la vecchia Fedaracion Agraria ad allearsi con gli odiati latifondisti e tornare allo sciopero, ma finanziarono anche piani sociali e incentivi industriali.
Cresceva l’impiego e con lui il carovita e quando questo arrivò agli alimenti, Nestor tentò di frenare il prezzo della carne bloccando le esportazioni. Era il 2006 e temeva una rivolta, nel popolo che fa delle grigliate un orgoglio patrio. L’anno prima, l’Argentina era il terzo fornitore mondiale di carni bovine, mentre nel 2012 era il decimo. Ora, davanti a Walter c’è una prateria di campi di soia. «I contadini si sono disfatti dei pascoli e restano soprattutto i grandi allevamenti», spiega.
Dopo la crisi cambiaria di due settimane fa, il governo si è trovato con un forte bisogno di dollari e sta facendo pressioni sulle campagne perché esportino di più. Sulla carne non si specula, perché quando una vitella è pronta dev’essere macellata. La soia, invece, può attendere nei silos che passi la tempesta, anche se il serbatoio in acciaio inox di Walter è vuoto, perché i piccoli produttori vendono tutto appena possono, e comunque guadagnano meno di un impiegato qualsiasi.
Open all references in tabs: [1 - 3]