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ARGENTINA LAZIO BIGLIA – Tornato nella cittadina di Mercédes per una serata in suo onore, Lucas Biglia ha parlato in vista dei Mondiali in Brasile che lo vedranno impegnato con l’Argentina: «Quando ho capito che potevo essere convocato? In realtà a novembre. Ho iniziato a giocare fuori dal Belgio, in un campionato più competitivo dove il livello è molto alto. In quel mese spesso si giocano amichevoli internazionali e sono stato chiamato. Non ci sono parole per descrivere cosa si prova quando si indossa la maglia dell’Argentina e si sente l'inno, è un’emozione indescrivibile», ha dichiarato il centrocampista della Lazio ai microfoni di “fmlatribuna.com.ar”.
GLI INIZI – Il calciatore argentino ha parlato poi dei suoi inizi all’Independiente e del trasferimento in Europa all’Anderlecht: «Ricordo che giocai la prima partita contro il Lanùs: Menotti mi chiamò, andai nel suo ufficio, mi disse che si fidava di me, che potevo fare la differenza. Anderlecht? Sapevo dove stavo andando, ho avuto la fortuna di parlare con Nicolas Frutos che era stato mio compagno di Independente e mi disse di non esitare, che erano pazzi di me e che la giovane età mi avrebbe aiutato. Loro giocavano la Champions League e l'idea era quella di trascorrere due o tre anni e trasferirsi in un campionato più grande, poi ho passato 7 anni con loro. Mi hanno dato l’opportunità di arrivare in Europa, di giocare la Champions, di costruirmi un nome. Sono molto grato a loro e non è stato facile andare via. Prima di andare in Italia si è parlato di Real Madrid e Arsenal, grandi club, ma sono sempre stato il terzo o il quarto della lista per queste squadre, mai il primo».
IL PRESENTE – Infine, Biglia ha parlato della Lazio e del compagno di squadra Miroslav Klose: «La lontananza a volte rende le cose complicate, ma c’è gente che mi segue, mi mostra la strada migliore da seguire, mi consiglia su cosa fare. Non posso dire di aver fatto la scelta sbagliata perché quello che sto vivendo oggi è il risultato di questa scelta. Klose? Avere un compagno in squadra come lui, così umile e professionale, mi rende orgoglioso. Il primo giorno negli spogliatoi sono stato 20 minuti a parlare con lui. In squadra accade lo stesso, questo è il bello del calcio. Tra l’altro al di fuori del pallone, condividiamo un altro hobby: il tennis. Lo viviamo con grande intensità perché a nessuno dei due piace perdere. Ho vinto la prima partita, la seconda è toccata a lui. Alla terza abbiamo messo le cose in chiaro perché il gioco si stava facendo duro».
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