«Ogni ora perduta durante la giovinezza è una possibilità di infelicità per l'avvenire.» Lo scriveva Honoré de Balzac nelle sue “Massime e pensieri di Napoleone” nel 1838.
Ed è l’infelicità di Federico e Witold a essere il tema principe di “Pornografia”, l’ultima fatica teatrale di Luca Ronconi, andato in scena al Teatro Argentina, il 9 aprile e in cartellone fino al 17.
Pornografia, tratto dall’opera omonima di Witold Gombrowicz, scrittore polacco, racconta la storia di due amici di mezza età, ospiti in una casa di campagna durante l’occupazione nazista della Polonia. I due non si danno pace del fatto che la figlia dei padroni di casa e un ragazzo a loro servizio, due giovani che hanno l’età e l’aspetto per desiderarsi, siano completamente indifferenti l’uno all’altra.
“I due amici – spiega Ronconi - fanno di tutto per avvicinare i ragazzi, senza riuscirvi. Totalmente intrigati dal desiderio di avere con loro una certa promiscuità, o per lo meno una complicità, concepiscono un’idea ancor più sciagurata: un delitto…».
Pubblicato nel 1962, il testo esplora con ironia e lucidità i misteri del desiderio e del sentimento. «Scelgo ancora una volta un romanzo e non un testo nato per il palcoscenico - prosegue Ronconi - perché le opere di narrativa, quando cambiano destinazione e approdano in teatro, hanno una resa diversa e forse altrettanto interessante rispetto alle commedie».
L’ansia per una nuova giovinezza porta allo sbando i due protagonisti. Li esalta, li rende quasi dementi. Tesi al raggiungimento dello scopo di far unire i due giovani, si rendono autori di opere esecrabili, fino a organizzare un omicidio quasi rituale, che renda possibile la riuscita finale del loro obiettivo. Ma è una giovinezza debole. Refrattaria. Una giovinezza che dipende dall’imprimatur di un adulto per esistere. Proprio di questo, infatti, il libro tratta: della dipendenza malata di un giovane da un adulto.
Nella guerra erotica costruita da Federico e Witold, i due protagonisti, si arriva facilmente a intuire che tra i due si manifesta anche una dimensione omosessuale. Una patente omoeroticità che rievoca nello spettatore i giochi di seduzione del Barone di Charlus in “Sodoma e Gomorra” di Proust.
Aveva ragione, forse, Fëdor Dostoevskij, quando scriveva che: «La gioventù ha a volte uno smisurato amor proprio, e l'amor proprio giovanile è quasi sempre pusillanime». I due adolescenti, Enrichetta e Carlo, sono paurosamente pieni di sé, cosi tanto da essere vuoti.
Federico e Witold vogliono rievocare, come in una allucinata azione negromantica, la loro gioventù, la loro capacità seduttiva. Henri Duvernois, agli inizi degli anni ’20, scriveva in «La pecora nera”: «Dopo tutto, bisogna avere una giovinezza: poco importa l'età alla quale si decide di essere giovani», ed è proprio questo che i due cercano di confermare: una continua giovinezza.
Tutto viene piegato allo scopo e alla definizione dell’obiettivo: l’unione di Enrichetta e Carlo. Anche la religione, anche la fede. C’è anche la vena del Marchese De Sade che pulsa nell’opera, la vena libertina e filosofa del rivoluzionario francese, quella che arrivava a farlo scrivere: «Rinuncia all'idea di un altro mondo, che non esiste, ma non rinunciare al piacere di essere felice, e di godertela in questo!».
Oltre al Divino Marchese, Oscar Wilde recita la sua parte magisteriale: una giovinezza portata a maestra di virtù. Un’impulsività che celebra se stessa. “Pornografia” rende vano ogni pensiero di maturità. Sono i “bambini” a comandare gli “adulti” e non il contrario. Come una forza violenta che riconduce tutto all’istinto, i due protagonisti, Witold e Federico, fanno facilmente intuire allo spettatore di essere loro le marionette in mano ai due ragazzi e non il contrario.